Epifania, la festa dei cercatori di senso

L’Epifania è la festa dei cercatori di senso, di chi, mendicante di cielo, si mette in viaggio, scrutando gli astri e le stelle per capire dov’è la ve

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L’Epifania è la festa dei cercatori di senso, di chi, mendicante di cielo, si mette in viaggio, scrutando gli astri e le stelle per capire dov’è la vera meta.

Lo stesso Occidente è figlio di due grandi narrazioni che ci parlano di due grandi viaggi: quello di Abramo e quello di Ulisse. Il primo, per uscire da se stesso e andare verso una terra posta altrove. Il secondo, per fare ritorno ad Itaca, la patria amata. Il primo, sotto il segno della promessa, parla di un “fuori” verso cui emigrare, il secondo, sotto il segno della nostalgia, parla di un “dentro” a cui tornare. Il primo per rompere un cerchio verso un luogo inedito, il secondo per chiuderlo nella ripetizione dell’identico.

Il viaggio non riguarda la sfera del nostro fare, ma quella del nostro essere. Non è frutto di un’azione, ma la nostra stessa condizione. Per cui non solo siamo sempre in viaggio, ma siamo noi stessi frutto di un viaggio. Veniamo da un altro e da un altrove, e andiamo verso un altro e un altrove a cui spesso non sappiamo dare un nome.

Tra nascita e morte siamo come sospesi tra due viaggi. Il primo per giungere a noi stessi, il secondo per uscire fuori da noi e andare oltre noi. Senza il primo non ci troviamo, senza il secondo ci perdiamo, perché non cresciamo. Siamo viaggio perché non siamo solo identità e radicamento, ma anche alterità e differimento. Innalzamento e inabissamento. Elevazione e trascendimento.

L‘Epifania che ci apprestiamo a celebrare è la storia del viaggio compiuto da tre uomini che lasciano tutto per inseguire una stella. E ciò accade quando il cielo della tua terra non ti basta più. O quando vedi sorgere una stella che sconfina, rompendo gli schemi delle tue credenze e delle tue certezze. Quando all’orizzonte sei come convocato da un luogo che ti manca. E, allora, parti guidato da una stella, non per tornare ad Itaca, ma per andare incontro ad una mangiatoia di una geografia dimenticata.

Le stelle ci rendono desideranti (de-sidereus infatti vuol dire lontano dalle stelle), cioè distanti da una meta che ci manca. Ci rendono cercanti inquieti di qualcosa a cui spesso non sappiamo dare un volto, una forma. E’ una cifra che ci abita e che allo stesso tempo ci sfugge. Ci supera e ci oltrepassa. Come una scheggia che, ferendoci, ci trascende e che dolorosamente ci separa. Ci lacera. Lo sapevano bene i romantici che parlavano del “Wanderer”, il “Viandante” il cui andare era però un “errabondare”.

E il viaggio comincia quando cerchiamo ciò che ci manca per colmare quel vuoto che ci scava dentro, dando forma al nostro anelito che però si colora di speranza. Anche se non siamo ancora in grado di sciogliere la paralisi provocata dalle nostre abitudini e la sterile stasi delle nostre paure.

Ma la luce della stella non splende se ci sono altre luci che, coprendola, ci abbagliano, promettendo facili paradisi a portata di mano. Ci sono stelle che brillano di fuori e stelle che brillano dentro. La stella che accompagna i Magi ama i deserti della nostra anima e gli angoli incerti dei nostri dubbi. Ama chi è pronto a partire e anche un po’ a morire. A mettersi in gioco per una scommessa più grande. Perché non basta arrivare in fondo al proprio io. C’è una terra dentro di noi che supera lo spazio stretto del nostro piccolo ego.

Ed è per 1uesto che siamo tutti in viaggio. Come i Magi, i quali, in quanto re e saggi, si sarebbero potuto accontentare di ciò che avevano e di ciò che sapevano. E invece no! Uomini inquieti, i Magi ci rappresentano in qualità di cercatori di senso, che non sempre trova un facile consenso. Ha senso partire se ciò che cerchiamo ha un senso maggiore di ciò che abbiamo e di ciò che siamo.

E che cosa cercano? Un bambino che però non è solo un bambino. Quel neonato per loro rappresenta la sintesi di tutto ciò che avevano sempre cercato: il Vero, il Bello e il Bene.  Tre parole che per i filosofi medievali –  in particolare per S. Tommaso –  rappresentavano le tre grandi proprietà dell’Essere, cioè del Senso. Di quel medesimo Logos che tanto avevano celebrato i greci. Tre realtà che, messe insieme, da sempre formano la grande utopia di tutti i pensatori e dei cercatori di senso.

Chi infatti non li vorrebbe? Solo che li cerchiamo in modo sbagliato e nei luoghi poco opportuni. Ed è così che trasformiamo i nostri viaggi in erranze. Ma per i credenti, come per i grandi filosofi medievali, il Bello, il Vero e il Buono sono un modo diverso per dire “Dio”, vero motivo per cui viene cercato quel bambino.

Solo che per incontrare Dio devi fare un lungo viaggio. Lo stesso che devi fare per incontrare te stesso. Devi imparare a stare da solo e, a volte, anche al buio durante le lunghe notti delle tue paure. Attraversare i deserti dei tuoi fallimenti. Come anche gli immensi e silenziosi spazi delle tue emozioni e sentimenti.

E quando arrivi, non troverai un Dio onnipotente ed evidente che ti convince. Non troverai un Dio sicuro, impacchettato in una fede rassicurante, ma solo il segno debole di un neonato deposto in una culla, che a te chiede di fermarti per adorare il mistero che ti porti dentro. Per contemplare in lui la bellezza e la dignità di questa tua e nostra umanità.

Si, perché questo bambino presto ti chiederà di ripartire e per fare un altro viaggio. Questa volta più lungo e faticoso. Dentro di te, fino a raggiungere quella culla in cui anche tu sei stato deposto. Perché tu possa entrare nella mangiatoia del tuo io, e là vivere, dopo la sua,  la tua Epifania.

L’Epifania, infatti, non è mai una, ma sempre doppia. Essa è sempre Epifania di Dio ed Epifania dell’uomo! Perciò, cercati una mangiatoia dove è deposto un bambino: lì troverai il tuo Dio. E, dove sarà il tuo Dio, là sarà anche il tuo io. Il tuo io bambino!

Giotto - http://www.scienceblogs.de/astrodicticum-simplex/2008/12/der-stern-von-bethlehem.php

A cura di Michele Illiceto, Manfredonia 03 gennaio 2021

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