25 aprile, «Bella ciao» per l’Ucraina è il canto contro i nuovi invasori

25 aprile. La Festa della Liberazione dal nazifascismo segna la fine della Seconda guerra mondiale nel Paese (1945) ed è la data fondativa della n

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Guerra Russia-Ucraina

25 aprile. La Festa della Liberazione dal nazifascismo segna la fine della Seconda guerra mondiale nel Paese (1945) ed è la data fondativa della nuova Italia, che sarebbe divenuta una repubblica grazie al referendum del 2 giugno 1946. La Festa della Liberazione è insomma alla base della nostra identità nazionale, sebbene non tutti ne condividano l’afflato e l’orgoglio.

Parte della destra è poco incline a festeggiare il 25 aprile e la memoria della Resistenza contro l’occupazione tedesca, «dimenticando» che i partigiani non furono soltanto comunisti e socialisti delle Brigate Garibaldi e di altre formazioni, ma anche cattolici, democristiani, azionisti, repubblicani, liberali, monarchici, quali ad esempio Randolfo Pacciardi ed Edgardo Sogno, per menzionare solo due nomi in seguito assai discussi. Senza dimenticare l’apporto che, dopo l’armistizio e lo sbandamento dell’8 settembre 1943, fornirono i militari del Regno del Sud (con la capitale prima a Brindisi e poi a Salerno) al fianco degli angloamericani nel risalire la Penisola. Ma contarono, appunto, anche i badogliani in montagna col fazzoletto azzurro al collo come Beppe Fenoglio, lo scrittore del Partigiano Johnny e di Una questione privata, di cui quest’anno ricorre il centenario della nascita (i suoi capolavori sono da leggere, rileggere, far conoscere ai più giovani nelle scuole).

Il canto più celebre della Resistenza, Bella ciao, nel corso del tempo è diventato un inno libertario senza frontiere, riproposto in varie versioni e in ogni dove, e conosciuto anche dai giovanissimi dacché La casa di carta, la serie tv spagnola dal successo mondiale, lo ha adottato quale refrain nei suoi snodi narrativi. «Una mattina mi son svegliato / O bella ciao, bella ciao, bella ciao, ciao, ciao / Una mattina mi son svegliato / E ho trovato l’invasor». L’invasor. Davvero non si capiscono perciò i distinguo, le riserve, le reticenze rispetto all’invasione russa dell’Ucraina e alle stragi dei civili da parte dell’esercito occupante, avanzati da taluni intellettuali di fama, da opinionisti mediatici e persino da dirigenti dell’Anpi, l’associazione che riunisce gli eredi dello spirito dei partigiani.

È inconcepibile che il 25 aprile di quest’anno non sia consacrato parimenti al ricordo della Resistenza italiana e al sostegno del popolo ucraino. Lo ha detto a chiare lettere il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, in occasione dell’incontro con le Associazioni Combattentistiche e d’Arma: «Abbiamo assistito, in queste settimane – con un profondo senso di angoscia – a scene di violenza sui civili, anziani, donne e bambini, all’uso di armi che devastano senza discrimine, senza alcuna pietà. L’attacco violento della Federazione Russa al popolo ucraino non ha alcuna giustificazione. La pretesa di dominare un altro popolo, di invadere uno Stato indipendente, ci riporta alle pagine più buie dell’imperialismo e del colonialismo».

Stavolta a ipotecare o a cercare di depotenziare il lascito il 25 aprile sono stati esponenti della sinistra «nostalgica», cui, con la cautela imposta nel porgere una… «cattiva notizia», andrebbe ricordato che l’Unione sovietica è finita nel 1991 e che Mosca oggi non è più la capitale dell’internazionalismo proletario, se mai lo fu. Il presidente Vladimir Putin risponde alle logiche di dominio tipiche di un regime totalitario, ancorché frutto di elezioni parlamentari, ed è personalmente al potere dal 1999 con cariche diverse. «Il tenente colonnello del KGB che vive in lui soffoca ogni forma di libertà, come sempre ha fatto nel corso della sua precedente professione», scrive Anna Politkovskaja, la giornalista assassinata a Mosca nel 2006, in La Russia di Putin, appena riproposto dalle edizioni Adelphi.

C’è poi l’argomento suscitato dallo stesso Putin quando ha annunciato l’operazione militare speciale» nel Donbass e in Crimea, presto allargatasi a tutto il Paese, secondo cui le regioni a maggioranza russofona dell’Ucraina andrebbero «de-nazificate», riferendosi in particolare a formazioni come il Battaglione Azov. Sono gli uomini dell’unità militare asserragliata nell’acciaieria di Mariupol, che si ispirano a Stepan Bandera, il capo dei nazionalisti ucraini assassinato nel 1959, considerato un criminale di guerra fedele a Hitler, sebbene insignito post mortem del titolo di eroe dell’Ucraina. Ebbene, questo controverso dato storico non inficia la dignità e la moralità della resistenza ucraina contro l’invasore russo, né la necessità di «prendere parte» (è l’etimo di «partigiano»), solidarizzando con gli oppressi, i soccombenti, le vittime.

La geopolitica ha di certo le sue ragioni. I rapporti di forza e le relazioni internazionali contano, eccome. E il gas crea nuove servitù. Ma nel cuore dobbiamo sapere che Bella ciao oggi è per l’Ucraina.

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