Manfredonia. “Archiviata anche la festa del lavoro”

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Anche per questo Primo maggio 2019, così come da diversi anni ormai, Manfredonia non festeggerà la tradizionale Festa del lavoro, di quell’attività cioè che è il riferimento nobile dell’uomo. Non si festeggia da diversi anni perché da diversi anni il lavoro è andato sempre più scarseggiando. Le statistiche sono quando mai impietose e preoccupanti. La gente di Manfredonia, uomini e donne, giovani e non, abbandonano la città, per cercare altrove, al nord all’estero, il necessario per il pane quotidiano per sé e per la propria famiglia. In gran parte, in modo particolare i giovani, non tornano più ai patri lidi. Forse lo faranno nella vecchiaia seguendo l’esempio di tanti compaesani che ormai sono la gran maggioranza della popolazione residente.

UN’ALTRA ricorrenza che sparisce dalla vita cittadina e per la quale nessuno delle autorità istituzionali si è peritato di porre un qualche rimedio. E’ entrata a far parte della nutrita schiera delle occasioni perdute per dare visibilità cittadina a ricorrenze che per la loro valenza culturale e civile avrebbero meritato di essere evidenziate con adeguate manifestazioni pubbliche.

Quali per esempio le giornate dedicate alla Memoria della Shoah come delle Foibe, all’infanzia, della salvezza del pianeta, non ultima la ricorrenza della fondazione di Manfredonia. Si è fatto una gran polemica per la mancata celebrazione dell’anniversario della Liberazione. Una riprovevole cinica speculazione di comodo. Uno scadimento morale e culturale inammissibile che coinvolge le istituzioni e le espressioni rappresentative della città che hanno rinunciato a quella libertà di iniziativa propria di una comunità che voglia essere intraprendente e protagonista del proprio futuro.

LA MANCATA celebrazione della Festa del lavoro è la cartina al tornasole di una economia in picchiata, di una città che arranca. Sono ormai lontani gli anni in cui i lavoratori sfilavano in corteo per le strade della città innalzando bandiere dei sindacati. Una toccante testimonianza l’ha lasciata il sindacalista Salvatore Castrignano nel suo appassionato libro “Bandiere e primavere”. Erano gli anni 70-80.

ERANO gli anni in cui le grandi risorse di Manfredonia erano attive e valorizzate: l’industria, il mare con la pesca e il porto, l’agricoltura. Di quelle stagioni di lavoro e di grandi speranze sono rimaste due aree industriali ridotte ormai ad un campionario di capannoni abbandonati; il porto che cerca con poco successo di mantenersi a galla; la pesca sempre più ridotta, con un mercato ittico inattivo da due anni; l’agricoltura con il suo grande bacino di attività e occupazione completamente ignorata. Di turismo neanche a parlarne. Giocoforza anche le attività derivate hanno subito forti contrazioni. Un grande e prezioso patrimonio di risorse primarie lasciato colpevolmente improduttivo a danno dell’economia locale ma anche di quelle limitrofe con le quali poteva interagire. Una situazione deprimente per la quale ci sono responsabilità che la storia dovrà evidenziare.

LA PAROLA “lavoro” è scomparsa dal vocabolario di chi istituzionalmente avrebbe dovuto averla come obiettivo principe. I governanti di Palazzo San Domenico non sono stati capaci neanche di stabilizzare 13 lsu autorizzati dalla Regione. Una comunità che non lavora è come se non esistesse. Il lavoro è il primo anello di una catena che coinvolge l’intero tessuto sociale, che attiva e sorregge l’economia.

GLI ULTIMI echi di una Festa del lavoro si ebbero nel 2004 quando unitariamente Cgil, Cisl e Uil la celebrarono alla presenza del segretario provinciale Nicola Affatato e conclusasi con un concerto musicale. Due anni prima fu lo stesso Berlusconi accompagnato dal presidente di Confindustria D’Amato, in visita alla cittadella industriale di Coppa del vento, a legittimare il Contratto d’area sorto sulle ceneri dello stabilimento Anic-Enichem. Una insufflata di incoraggiamento a risollevarsi. Una sollecitazione che non ha attecchito tra i governanti locali rimasti impassibili nel vedere le decine di imprese qui istallate, lasciare il territorio. Si è preferito trastullarsi tra un LIST campato in aria, un fantasioso megaprogetto con l’Università di Torino, fino alla gag di un impossibile treno tram.

Michele Apollonio

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