L’omicidio Silvestri e le estorsioni alla gioielleria Dei Nobili di Monte Sant’Angelo

  La possibile causa dell'omicidio di Giuseppe Silvestri - il 44enne ucciso nel marzo 2017 a Monte Sant'Angelo, per il quale i carabinieri del

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La possibile causa dell’omicidio di Giuseppe Silvestri – il 44enne ucciso nel marzo 2017 a Monte Sant’Angelo, per il quale i carabinieri del comando provinciale di Foggia e della Compagnia di Manfredonia hanno arrestato Matteo Lombardi detto “Carpinese” e Antonio Zino, rispettivamente di 48 e 39 anni, entrambi facenti parte del gruppo criminale Romito-Ricucci-Lombardi – è da individuare nella rapina avvenuta un mese prima presso la gioielleria ‘Dei Nobili’ (le immagini video).

Un colpo da 200mila euro per il quale Silvestri era stato sospettato sin da subito di avere collaborato e fornito appoggio logistico agli esecutori, presunti esponenti del clan Perna, “il tutto ovviamente con il necessario benestare di Enzo Miucci”, considerato dagli inquirenti capo indiscusso del clan Li Bergolis.

All’epoca dei fatti l.e indagini permisero di acclarare la responsabilità di Carmine Maiorano, 36enne viestano soprannominato “Il Toro”, a sua volta appartenente al clan Perna di Vieste, arrestato, sempre dai carabinieri della Compagnia di Manfredonia, il 28 marzo 2018 e trovato nascosto armato di pistola all’interno della proprietà di Girolamo Perna, esponente di spicco dell’omonimo clan ed a sua volta legato ai li Bergolis.

Più nello specifico il 18 febbraio 2017, alle 18.35, tre persone armate di cui una in possesso di pistola e altre due a volto coperto, avevano fatto irruzione nell’esercizio commerciale di Corso Vittorio Emanuele e dopo aver minacciato la titolare con le armi in loro possesso ed averle provocato lesioni personali, si erano impossessati di un ingente quantitativo di gioielli prelevati all’interno della cassaforte per un valore di 200mila euro.

A conferma del coinvolgimento di Giuseppe Silvestri anche le dichiarazioni del titolare della gioielleria – come si legge dalle carte – che ai carabinieri, il giorno successivo, aveva riferito di aver saputo che gli autori della rapina erano criminali di Vieste e che nei giorni precedenti al colpo avevano trovato ospitalità presso l’abitazione di Silvestri. E che, per tale ragione, dopo la rapina si era recato a casa di Silvestri a reclamare la restituzione degli oggetti preziosi sottratti. Ma il 22 novembre 2018, davanti al Pm, l’esercente si era limitato a dire soltanto questo: “Ero andato da Silvestri Giuseppe a chiedere aiuto per sapere se poteva farmi riottenere il bottino della rapina, ipotizzando anche un eventuale cavallo di ritorno o ritorsione”.

La figura di Dei Nobili era emersa nell’ambito di un altro procedimento penale in danno dei Li Bergolis come soggetto sottoposto ad estorsione, come confermerebbe una missiva con la quale Giuseppe Pacilli informava la sorella che durante la sua latitanza si era incontrato con il gioielliere che gli aveva consegnato 500 euro e promesso la consegna di altre 10mila euro. La sottoposizione del Dei Nobili ad estorsione trova conferma anche nella conversazione del 26 giugno 2011 allorquando il Pacilli invitava i suoi congiunti a recarsi presso la gioielleria per farsi dare bracciali e collane.

Nelle carte dell’inchiesta si ipotizza che in virtù del periodo no dei ‘Montanari’, l’orefice potesse aver trovato “protezione” nel gruppo opposto dei Romito-Ricucci-Lombardi. Ed emergono anche alcuni passaggi di conversazione tra i coniugi Dei Nobili intercettate nell’auto del gioielliere successivamente all’omicidio, nel corso della quale pare avessero affermato che avrebbero festeggiato mangiando “alla faccia di quello che mo se lo cominciano a mangiare i vermi e di quello che mo deve mangiare la semolata domenica”, con riferimento all’uccisione di Silvestri e all’arresto di Maiorano.

E ancora, i coniugi Dei Nobili, entrando in un bar della città dei due siti Unesco, avrebbero pronunciato queste parole: “Oggi è un giorno di festa, dobbiamo festeggiare”. Circostanza che la moglie del titolare avrebbe poi smentito. Inoltre, appena usciti dalla caserma dei Carabinieri, marito e moglie avrebbero fatto riferimento alla circostanza che il Silvestri avesse offerto appoggio logistico ai rapinatori: “Quello ha appoggiato, proprio”.

Il possibile coinvolgimento di Li Bergolis sarebbe emerso da una confidenza della moglie del titolare fatta a sua madre, ovvero che dietro gli autori della rapina ci fossero “quelli di Monte Sant’Angelo”.

Secondo quanto riferito dagli inquirenti in sede di conferenza stampa tenutasi ieri mattina a Bari, i gioiellieri avrebbero goduto “di protezione” mediante il “pagamento del pizzo” dal clan Li Bergolis di cui Silvestri sarebbe stato elemento di spicco. Nelle carte dell’inchiesta si legge che l’Apicanese non era un semplice pregiudicato ma una figura storicamente inserita nel contesto della mafia garganica e più in particolare nel gruppo facente capo alla famiglia Li Bergolis, meglio noto con l’appellativo di ‘Clan dei Montanari’, “la cui mafiosità è stata tra l’altro riconosciuta con la sentenza del Giudice di Bari nell’ambito del processo denominato ‘Iscaro-Saburo'”.

La rapina alla gioielleria di Monte Sant’Angelo, “protetta dal clan Li Bergolis”, avrebbe costituito un sintomo di “mancanza di affermazione del potere del clan e di una credibilità ridotta a zero”. Una situazione in cui il clan rivale dei Lombardi-Romito-Ricucci di Manfredonia-Mattinata, avrebbe “cercato di infilarsi” uccidendo Silvestri. Così il procuratore della DDA di Bari Giuseppe Volpe ha ricostruito l’omicidio avvenuto il 21 marzo verso le 4.50 a colpi di fucile sulla via Panoramica di Monte Sant’Angelo.

Ad incastrare uno dei presunti responsabili, il 48enne Matteo Lombardi, alcune tracce di Dna rilevate dai carabinieri dei Ris sulla maggior parte delle cartucce di fucile sul luogo dell’omicidio. Smontato anche il falso alibi fornito da Lombardi e da Antonio Zino, il 39enne considerato vicino ai Romito accusato di favoreggiamento personale, di un viaggio nel Milanese effettuato insieme proprio quella mattina con lo scopo di acquistare un’automobile. Alibi che però gli investigatori, analizzando le celle, i tabulati telefonici e le intercettazioni telematiche, hanno smontato. Inoltre i due, si sarebbero messi in contatto per mettersi d’accordo sulla versione da fornire.

“La ricostruzione fatta dai carabinieri ha dimostrato che l’alibi messo in piedi dal Lombarsi era non solo falso ma che i fatti raccontati rendevano compatibile la sua presenza sul luogo del delitto con un margine di tempi che quanto meno erano di 24 minuti. Abbiamo 24 minuti di tolleranza rispetto al suo racconto” ha detto il coordinatore della DDA di Bari Francesco Giannella.

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