Deliveroo e Uber perdono la causa, contributi ai rider

Due società del food delivery, che nel 2021 erano già finite al centro, con altre due, di un'indagine pilota della Procura di Milano sulle condizioni

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Due società del food delivery, che nel 2021 erano già finite al centro, con altre due, di un’indagine pilota della Procura di Milano sulle condizioni di lavoro e di sicurezza di circa 60mila rider, dovranno versare all’Inps i contributi per migliaia di rider, per un totale, non ancora calcolato esattamente, che potrebbe arrivare ad alcune decine di milioni di euro.

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Lo ha stabilito nei giorni scorsi la Sezione lavoro del Tribunale milanese in due cause distinte che Deliveroo Italy e Uber Eats Italy (che ha lasciato il mercato italiano nei mesi scorsi) avevano intentato contro l’ente previdenziale.

Al centro dei procedimenti, davanti al giudice Nicola Di Leo, c’erano i verbali amministrativi, notificati due anni fa dall’Ispettorato del lavoro e impugnati dalle società, nei quali era stato indicato che le posizioni di migliaia di ciclofattorini andavano regolarizzate: da lavoratori autonomi a “coordinati continuativi”, con tutte le garanzie dei subordinati. Il giudice del lavoro nella sentenza ha seguito, in pratica, la posizione presa all’epoca dal dipartimento ‘ambiente, salute, sicurezza, lavoro’ della Procura milanese e dall’Ispettorato del lavoro, stabilendo che quei rider erano stati impiegati come collaboratori coordinati continuativi, sulla base dell’articolo 2 del Jobs Act. Ai rider che hanno lavorato per Deliveroo, dunque, dal “gennaio 2016 al 31 ottobre del 2020” va applicata, scrive il giudice, “la disciplina del lavoro subordinato” con conseguente “obbligazione per contributi, interessi e sanzioni nei rapporti con l’Inps e per premi nei rapporti con l’Inail”. E per “l’orario effettivamente svolto dai collaboratori, da determinarsi dal Login fino al Logout dalla piattaforma per ogni singolo giorno lavorativo e con versamenti da effettuarsi nella Gestione Dipendenti, con le aliquote contributive per il lavoro subordinato, per quanto riguarda il debito nei confronti dell’Inps”. Quella dei rider, chiarisce il giudice nella sentenza, è “un’attività che consiste nella scelta del lavoratore di rendersi disponibile a ricevere ordini” da parte della società “e a cui deve applicarsi la disciplina del lavoro subordinato”. Sulla stessa linea l’altro verdetto sul caso Uber, che riguarda, però, un periodo più limitato che va “dal gennaio 2020 al 31 ottobre 2020”. “Stiamo analizzando i dettagli della decisione che si basa su un modello vecchio e un sistema di lavoro dismesso e che non esiste più – fa sapere Deliveroo -. Non si tratta di una decisione definitiva ma di un giudizio di primo grado, a cui faremo appello”. Anche Uber dice di non condividere la decisione: “siamo pronti a fare appello nelle sedi competenti. La maggior parte dei fatti presi in considerazione nelle indagini non sono applicabili a Uber Eats e descrivono modelli operativi della concorrenza molto diversi dalle nostre passate operazioni di delivery”. L’Inps aveva presentato una prima richiesta di contributi per circa 90 milioni di euro in tutto, in gran parte in capo a Deliveroo, ma la quota complessiva dovrà essere ricalcolata e al ribasso. Sul fronte penale, invece, l’indagine era passata per il versamento di ammende da parte delle aziende e successive archiviazioni, anche per le posizioni di Glovo-Foodinho e Just Eat.

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