Affitti brevi in casa vacanza, più controlli e tetto minimo di due notti: il Ddl non convince la Puglia

Caos affitti brevi? L’ufficio legislativo del ministero del Turismo, Daniela Santanchè, ha licenziato in queste ore, e condiviso con gli

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Caos affitti brevi? L’ufficio legislativo del ministero del Turismo, Daniela Santanchè, ha licenziato in queste ore, e condiviso con gli operatori del settore, il Ddl che punta a «fornire una disciplina uniforme a livello nazionale volta a fronteggiare il rischio di un turismo sovradimensionato rispetto alle potenzialità ricettive locali e a salvaguardare la residenzialità dei centri storici ed impedirne lo spopolamento». Tra le questioni determinanti quella delle sanzioni, previste dall’articolo 6, demandate ai Comuni e alle autorità di pubblica sicurezza, «ognuno per la propria competenza».

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Un codice identificativo nazionale

In particolare, con l’articolo 3 (Codice identificativo nazionale) il Ddl Santanchè contrasta la frammentazione della normativa regionale e rende obbligatorio il Codice Identificativo Nazionale (Cin) rispetto ai venti Codici identificativi regionali (Cir) attualmente esistenti. Sarà obbligatorio anche per le Ota (online travel agency, le agenzie turistiche online) e sono definite delle sanzioni, con l’articolo 6, a carico di tutti i soggetti (Ota, proprietari e property manager) che lo disattendano.

 

Dal soggiorno minimo al property manager

Con l’articolo 4 (Limitazioni delle locazioni per finalità turistiche) si introduce un soggiorno minimo di due notti (minimum stay) per i Comuni ad alta densità turistica che, secondo Istat, sono poco meno di un migliaio sui 78.882 comuni italiani.

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Ancora, il ddl apre la strada al riconoscimento ufficiale della figura del property manager con l’articolo 5 (Locazione per finalità turistiche in forma imprenditoriale) in cui si demanda all’Istat l’apertura di un Codice Ateco specifico per la categoria confermando l’obbligatorietà per i property manager di agire da sostituto d’imposta, raccogliendo e versando per conto dei proprietari la cedolare secca.
Non solo, la nuova norma prevede espressamente che il property manager possa richiedere l’apertura della Scia in nome e per conto del proprietario, cosa non consentita, attualmente, ad esempio, dal Comune di Roma.

Il punto di vista di Aigab

Sull’articolo 2 («Locazione per finalità turistiche») dove si fa esplicito riferimento a soggetti «che esercitano attività di intermediazione immobiliare, ovvero soggetti che gestiscono portali telematici», facendo ritenere che gli immobili promossi tramite affitti brevi possano essere gestiti esclusivamente da i proprietari stessi, comunemente detti gli host; da property manager, a patto che siano dotati di una agenzia immobiliare; da portali telematici, comunemente dette Ota, tra cui ovviamente si devono intendere anche tutti i portali di promozione gestiti dai property manager stessi, entra nel merito l’Aigab (l’Associazione italiana gestori affitti brevi). «Si mantiene inalterato l’onere per l’intermediario o il gestore che incassa per conto del proprietario di raccolta e versamento della cedolare secca, come definito dal dl 50 del 2017 per il quale – commenta Marco Celani, dal 2016 amministratore delegato di Italianway e presidentedi Aigab – è ancora pendente la controversia presso la Corte di Giustizia

All’articolo 3 il legislatore introduce, o meglio riafferma l’obbligatorietà di un codice identificativo nazionale, il Cin, che viene chiarito, che può essere chiesto dal proprietario o da un gestore. «Si tratta di un importante riconoscimento al ruolo dei gestori che esplicitamente possono, come già avviene in molte regioni italiane – dice il presidente Aigab – diventare gli intestatari del Cin, sbarrando la strada ad alcune amministrazioni che oggi vietano incomprensibilmente ai gestori che agiscono in forza di un contratto con i proprietari quali loro delegati nella gestione dell’immobile».

Un elemento di novità, sotto la lente degli operatori, è che il Ddl stabilisce che il codice identificativo nazionale sostituisce quello regionale, anche quando ne è stato assegnato uno, affermando la supremazia del diritto del ministero del turismo a centralizzare l’attività di raccolta informazioni, anche se rimangono le regioni i soggetti che dovranno concedere i Cin, mentre saranno i comuni a dover controllare l’applicazione del Cin su tutte le piattaforme e su tutti i canali di promozioni, incluso il portone dell’immobile.
«Anche oggi – dice Celani – le piattaforme hanno l’obbligo di esporre il codice identificativo che è al momento regionale, ma in carenza di controlli e di blocchi automatici è impossibile per i portali inserire blocchi senza aver concordato con le regioni la struttura dei codici. In altre parole, l’operatore illegale può inventarsi un codice, inserirlo nel portale che non ha oggi modo di controllare e nessuno ha modo di controllare. La speranza è che con il Cin sia la stessa banca dati ad inviare i codici alle piattaforme, chiedendo loro di bloccare i codici non riconosciuti (come avvenuto in Grecia ad inizio anno, dando risultati incredibili in tema di lotta all’abusivismo e al sommerso)».

Si definisce che sarà il ministero del Turismo ad inserire i Cin ricevuti dalle regioni nella banca dati nazionale (già istituita nel 2019) con modalità che però dovranno essere concordate con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, «che vuol dire – dice ancora Celani – che se non si trova l’accordo con le regioni la banca dati, sulla quale si sono già fatti molti investimenti, potrebbe restare lettera morta».Tra l’altro, la banca dati non si occupa solo di affitti brevi, ma anche di strutture ricettive in generale; quindi, il ministero guidato oggi da Daniela Santanchè chiede alle regioni di trasmettere dati relativi ad alberghi, B&B, agriturismi, rifugi alpini, campeggi, dimore storiche, affittacamere, residence e cabine delle navi da crociera (tutte le categorie che Istat individua come strutture ricettive).

In tema di sanzioni, non esporre il Cin per ogni annuncio costerà all’host, al gestore o alla piattaforma da 300 a 3mila euro, mentre il proprietario privo di Cin rischierà una sanzione da 500 a 5mila euro. Il controllo e la sanzione spetteranno ai vigili comunali o alla polizia, «non è chiaro – dice Celani – con che perimetro. Ipotizziamo un controllo sui portoni per i vigili, un controllo sui portali per la polizia postale, ma non è così specificato nel Ddl». Ancora, l’articolo 4 introduce una nuova e stringente limitazione, quella del minimum stay a due notti. L’ambito di applicazione rimane però da approfondire. Sicuramente non si potrà affittare per meno di due notti nei 14 comuni metropolitani. Si fa riferimento poi ai comuni a densità turistica alta e molto alta (quarto e quinto quintile di una tabella Istat) nei quali chi vorrà pernottare una notte dovrà andare in hotel, ammesso che ne trovi uno. Saranno esentati da questa limitazione i comuni con meno di 5mila abitanti a bassa densità turistica.

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