8 Marzo, la Festa è lotta: i volti e il riscatto delle pugliesi

Sognava di indossare la toga fin da bambina e ce l’ha fatta, entrando in magistratura giovanissima, a soli 24 anni. Rosa Calia Di Pinto è attualmente

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CHI PENSA, CHI FA E CHI NON FA NIENTE

Sognava di indossare la toga fin da bambina e ce l’ha fatta, entrando in magistratura giovanissima, a soli 24 anni. Rosa Calia Di Pinto è attualmente presidente di sezione in Corte di Appello a Bari. Giudice, moglie, madre di due figli. E quando, ragazzina, le si chiedeva cosa avrebbe fatto da grande, lei rispondeva «il giudice». Non un magistrato qualsiasi, ma proprio quello, anzi quella, che indossa la toga per decidere. «Volevo fare giustizia, rendere giustizia – racconta – , sognavo un mondo più giusto e, soprattutto, ho sempre voluto essere io a decidere, per un altissimo senso della giustizia ma anche perché desideravo un lavoro che mi consentisse di non dire sì a nessuno, di essere sempre autonoma e indipendente». Per la giudice Calia Di Pinto la strada non è stata più in salita in quanto donna. «Assolutamente no, nella magistratura – spiega – non esiste alcuna discriminazione tra uomo e donna. Anzi, forse le donne riescono meglio perché, sono convinta, hanno una marcia in più, non addivengono a compromessi e soprattutto sono meno corruttibili, cosa importantissima in un ruolo così delicato». Eppure nei posti di vertici, agli incarichi direttivi, siedono più spessi uomini. «Questo è un altro mito da sfatare: è più una scelta della donna magistrato che da un impedimento, perché gli direttivi e semidirettivi comportano trasferimenti, sacrificare la famiglia e mentre gli uomini questi problemi non se li pongono, le donne lo fanno». «Quello che conta è l’esempio che si dà ai propri figli, a partire dal profondo senso del dovere e dell’impegno» dice, lei che se non è in ufficio in toga, è a casa a scrivere sentenze. Salvo volare di tanto in tanto a Singapore o in Australia per far visita ai suoi ragazzi.

Rosa Calia

Determinata e gentile, tenace con un sorriso sincero e aperto, Beatrice Rana ha la grandezza discreta di chi non ha mai smesso di essere ancorata alle sue radici, pur raggiungendo le vette più alte del pianismo internazionale. Ha da poco compiuto trent’anni ed è la pianista italiana più famosa al mondo. In questi giorni è nel suo amato Salento dopo il successo della tournée con i Wiener Symphoniker e se si sbriciano sul suo sito ufficiale i prossimi appuntamenti si scopre una costellazione di collaborazioni con le orchestre più prestigiose al mondo nelle sale da concerto e nei teatri tempio della musica classica. Difficile sintetizzare il suo curriculum vitae; ma alcune date sono salienti come il 1993, anno del debutto come solista in orchestra all’età di nove anni, con l’esecuzione del Concerto in fa minore di Bach, il 2011 vittoria del primo premio e di tutti i premi speciali al Concorso internazionale di Montreal, 2013 medaglia d’argento e «premio del pubblico» al prestigioso Van Cliburn International Piano Competition, 2019 l’esecuzione integrale delle «Variazioni Goldberg» di Bach e il 2017 anno in cui fonda il Festival di musica da camera «Classiche Forme» a Lecce. Alla vigilia dell’International Day Woman, le chiediamo quanto ancora incide il binomio bella-brava nella vita professionale sua e di altre musiciste «Mi pongo spesso questa domanda. Sicuramente questo atteggiamento è un retaggio culturale e del resto siamo anche il popolo che ha chiesto a Samanta Cristoforetti chi avrebbe tenuto il suo bambino quando lei sarebbe andata nello spazio. Una domanda che ad un uomo non sarebbe mai stata fatta. Non ho la soluzione ma sicuramente ho una proposta per invertire il trend: focalizzare l’attenzione più sui contenuti, se ci sono, pur non tralasciando l’aspetto esteriore perché è sempre positivo presentarsi bene in pubblico e a me piace molto farlo. Insomma cambiare le priorità».

Una mente brillante. Una fuoriclasse della sua generazione. Eletta nella corte iniziale della European Mathematical Society Young Academy, che include soltanto trenta matematici e matematiche in tutta Europa. È Cristiana De Filippis, materana, ricercatrice del Dipartimento di scienze matematiche fisiche e informatiche dell’Università di Parma, dove insegna Analisi matematica. A soli 30 anni risulta essere, secondo la banca dati dell’American Mathematical Society, la persona più citata al mondo nel suo anno di dottorato. I suoi contributi al Calcolo delle Variazioni, che hanno permesso di dare una risposta ad alcune questioni aperte nella teoria delle equazioni ellittiche, le hanno fruttato riconoscimenti come il G-Research Prize ottenuto in Gran Bretagna e nel 2021 il premio «Giocchino Iapichino» dell’Accademia Nazionale dei Lincei, consegnatole dal premio Nobel Giorgio Parisi. Un percorso tutto in discesa per la giovane ricercatrice, appassionata di matematica fin da bambina. Una laurea all’Università a Torino, la magistrale a Milano, e il dottorato di ricerca all’Università di Oxford dove ha vissuto dal 2016 al 2020. «Una realtà molto dinamica, stimolante»- la definisce, ma poi la scelta di ritornare in Italia, «attratta dalla qualità della ricerca in matematica svolta all’Università di Parma, che ospita alcuni tra i matematici più citati al mondo e con proposte di ricerca all’avanguardia. La qualità nel nostro paese è molto alta- sottolinea- il problema è che non si investe nella ricerca».

Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella nel 2019 stringendole la mano in occasione di una cerimonia al Quirinale con la Lit – Lega Italiana Lotta Tumori – le disse: «Sei l’orgoglio dell’Italia. Sapevo di te dalla lettura dei giornali». Bisogna partire da questo per raccontare chi è la 42enne barlettana Vincenza Conteduca, eminente personalità mondiale della ricerca, che per ben quattro volte (2017 – 2021) ha meritato dall’American Society of Clinical Oncology (Asco) il prestigioso «Merit Award Conquer Cancer Foundation» ovvero il più importante riconoscimento mondiale rivolto a giovani ricercatori in oncologia. Lo studio ha riguardato l’identificazione di biomarcatori nel sangue dei pazienti affetti da tumore prostatico avanzato.
Cinzia attualmente è ricercatrice all’Unità di Oncologia Medica e Terapia Biomolecolare dell’Università di Foggia dove continua nella sua attività di studio. La sua è una bella storia di impegno tutto al femminile in giro per il mondo con ritorno in Puglia. Infatti ha lavorato in Emilia Romagna, Londra, New York e Boston.

Daniela Marcone, vicepresidente nazionale di Libera, referente del settore Memoria. Quella stessa memoria che in questi anni le ha permesso di tenere vivo il ricordo dell’uomo integerrimo che fu Francesco Marcone, direttore dell’Ufficio del registro di Foggia, barbaramente ucciso la sera del 31 marzo 1995 da mano rimasta in tutti questi anni ancora ignota. E lei, Daniela, testimone tenace e indomita di un messaggio a difesa delle vittime di mafia, consapevole che solo non girando la testa dall’altra parte si può vincere una sfida che per lei ha il sapore amaro della lotta da combattere ancora in trincea, almeno fino a quando non verranno fuori autori e mandanti di quel delitto di un uomo onesto a cui vennero private la vita e gli affetti a soli 57 anni. Daniela Marcone al vertice dell’associazione di Don Ciotti è diventata un punto di riferimento appassionato e costante di tante famiglie in cerca di verità e conforto attraverso l’azione della pubblica denuncia. È proprio lei, Daniela, a coordinare la rete nazionale dei familiari aderenti a Libera di vittime innocenti delle mafie ed a promuovere progetti per la salvaguardia del «diritto al ricordo» di tutte le vittime innocenti delle mafie

Una volontà di ferro, una tenacia fuori dal comune e un amore incondizionato per i piccoli pazienti del reparto di Pediatria e Oncoematologia pediatrica del SS. Annunziata di Taranto. Debora Cinquepalmi è la vulcanica presidentessa dell’associazione Simba. Si occupa da oltre 10 anni di fornire, attraverso raccolte fondi e attività di volontariato attivo, sostegno e accoglienza ai bambini e alle famiglie in degenza presso i reparti dell’ospedale di Taranto. E non solo, l’associazione fondata da Cinquepalmi sostiene i bambini in difficoltà anche all’esterno dell’ambiente ospedaliero. Un lavoro incessante sostenuto da un manipolo di volontari che credono nel progetto e nella mission dell’associazione e che sacrificano parte del loro tempo per rendere meno difficili i giorni della degenza in reparto ai piccoli pazienti, alleggerendo anche il carico delle tensioni di tante mamme e tanti papà. «Ci dedichiamo proprio ai bambini ospedalizzati con una serie di progetti, il più importante dei quali è il servizio attivo accanto ai bimbi e alle famiglie. Grazie a chi ci sta vicino, raccogliamo fondi con cui acquistare presidi sanitari importanti per migliorare la qualità della vita in ospedale e delle cure dei bambini, ma anche giocattoli e materiale didattico necessario per aiutare i bambini e i ragazzi nel proseguimento delle attività scolastiche». Cinquepalmi è stata la pioniera con Simba della “pet therapy” in Pediatria a Taranto e, lo scorso maggio, è riuscita a portare 15 piccoli pazienti del Reparto di Oncoematologia Pediatrica Nadia Toffa del SS. Annunziata di Taranto in udienza da papa Francesco. «Taranto… io penso sempre a Taranto, vi penso sempre e vi porto nel cuore» aveva dichiarato Francesco rispondendo alle volontarie dell’associazione Simba e riservando ai bambini una benedizione speciale.

 

 

 

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