Un piatto di pasta al sugo? Nel 2023 costerà di più

Il prezzo dell'energia elettrica sarà anche diminuito dall’inizio dell’anno, ma nel 2023 mangiare un piatto di pasta al sugo è destinato a costare anc

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Il prezzo dell’energia elettrica sarà anche diminuito dall’inizio dell’anno, ma nel 2023 mangiare un piatto di pasta al sugo è destinato a costare ancora di più. A prefigurare i rincari del piatto più emblematico della dieta italiana, alla base dell’alimentazione delle famiglie, sono due indicatori. Il primo riguarda la trattativa per stabilire il prezzo dei pelati da industria, che viene fatta ogni anno e che in questo periodo entra nel vivo. Quella per il bacino del Nord Italia è in stallo: l’industria della trasformazione ha offerto ai produttori di pomodori un incremento del prezzo del 20% rispetto al 2022, ma ciò nonostante gli agricoltori hanno giudicato questo aumento insufficiente a coprire il rally dei costi subiti negli ultimi mesi.

(AdobeStock)

«Dobbiamo far fronte agli attacchi dei patogeni con l’Europa che mira al taglio lineare degli agrofarmaci – spiega Filippo Gasparini, presidente di Confagricoltura Piacenza – e c’è poi il problema enorme della risorsa idrica: il pomodoro ha costi di produzione altissimi legati all’irrigazione. Va aggiunto che nel nostro paese alcuni costi di produzione sono già di per sé superiori rispetto ai competitor, come i costi di trasporto e quello dell’energia». Sul fronte opposto i produttori: «L’aumento da noi proposto – sostiene Bruna Saviotti, coordinatrice del Comitato territoriale del Bacino Nord di Anicav- porta a un incremento del prezzo medio di riferimento nel biennio di circa il 40% e non ha precedenti nella storia della contrattazione del pomodoro da industria nel nostro bacino». La battaglia è ancora aperta, ma è evidente che, a prescindere da chi riuscirà a tirare di più la fune, sullo scaffale dei supermercati il prezzo dei pelati e della passata anche nel 2023 aumenterà.Anche i mugnai mettono le mani avanti per i mesi a venire: «La farina non mancherà, il punto è che non sappiamo quanto costerà nel prossimo futuro», ha detto Giorgio Agugiaro di Italmopa, intervenendo al Sigep, il Salone della gelateria e della panificazione di Rimini. «L’Italia non essendo autosufficiente importa il 65% del grano tenero e nel 2022 si è anche registrato un ulteriore calo produttivo del 15%».Proprio ieri, intanto, il Tar del Lazio ha salvato, anche per il 2023, l’etichetta di origine che obbliga ad indicare sulla pasta la provenienza nazionale o straniera del grano impiegato. Respingendo i ricorsi di alcune industrie del settore, il tribunale ha convalidato il decreto interministeriale che proroga fino al 31 dicembre 2023 i regimi sperimentali dell’indicazione di origine. Il decreto prevede che le confezioni di pasta secca prodotte in Italia debbano indicare il nome del Paese nel quale il grano viene coltivato e quello di molitura. Se proviene o è stato molito in più Paesi possono essere utilizzate, a seconda dei casi, le diciture “Paesi Ue”, “Paesi non Ue” o “Paesi Ue e non Ue”. Soddisfatta la Coldiretti: questa misura, sostiene l’associazione, ha spinto tutte le principali industrie agroalimentari a promuovere linee produttive con l’utilizzo di cereali interamente prodotti sul territorio nazionale.

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