Sipontum, la città sepolta tutta da scoprire: epoca dopo epoca dall’anfiteatro al porto

L’esperienza sul cantiere degli scavi archeologici di Siponto è ancora viva negli occhi, nel cuore e sui social degli studenti del Liceo Lanza. Questa

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L’esperienza sul cantiere degli scavi archeologici di Siponto è ancora viva negli occhi, nel cuore e sui social degli studenti del Liceo Lanza. Questa mattina, a distanza di alcuni mesi da quella visita, i referenti dello scavo – gli archeologi Giuliano Volpe, Maria Turchiano e Roberto Goffredo, con la moderazione della professoressa Laura Maggio – hanno incontrato nuovamente gli studenti del liceo classico foggiano per illustrare loro i risultati del lavoro svolto sul campo, il metodo archeologico e l’importanza di conoscere l’identità passata di luoghi e paesaggi. 

“Lo scavo deve servire a migliorare le nostre conoscenze sul territorio e, nel contempo, riuscire a creare occasioni di sviluppo. Ecco perché il nostro è un lavoro di equipe: tra professionisti, ma anche con istituzioni ed enti locali. Da soli non si va da nessuna parte”, spiega in premessa l’archeologo Volpe. In due anni, o poco più, si è riusciti ad avviare sei saggi di scavo nell’area dell’antica Sipontum, ma la conoscenza della città è ancora parziale.  E’ stato indagato sol il 5% dell’intera città. Il resto è ancora sotto ai nostri piedi”, prova a semplificare l’ex rettore UniFg, oggi docente di Metodologia della ricerca archeologica presso l’Università di Bari.

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All’antica città portuale più importante della Daunia settentrionale, poi divenuta colonia militare romana e infine vitale diocesi paleocristiana, si riconosce un ruolo attivo per tutto l’alto Medioevo e pieno Medioevo, legato soprattutto ad attività marittime e portuali. Così fino all’abbandono, ordinato nel 1263, in favore della nascente Manfredonia, “costruita ‘spogliando’ Siponto, la cui memoria non fu mai persa”, puntualizza Volpe. Una serie di scavi vennero avviati, con metodo non-scientifico, a inizio Novecento, “lavori e studi che sono stati ripresi e messi a sistema dall’archeologa Marina Mazzei, alla quale dobbiamo la battaglia per la salvaguardia del sito”, ribatte Volpe. “Altrimenti, in quell’area, avremmo oggi villette e case vacanza”.

“Rispetto al passato, oggi il nostro approccio è globale”, continua Volpe. L’obiettivo della campagna di scavo Sipontum :archeoligia globale di una città portuale,  condotta dalle Università di Foggia e Bari, in stretta collaborazione con il Parco archeologico di Siponto, Direzione regionale musei della Puglia e Soprintendenza Archeologia Belle Arti Paesaggio di Foggia, “è studiare l’intera città e il territorio per tutta la sua storia: dalla nascita all’abbandono”.

“Abbiamo impostato una ricerca sistematica che durerà molti anni e che, utilizzando tutte le fonti e le tecnologie oggi possibili, ci aiuterà a ricostruire l’antica città e la sua evoluzione, epoca dopo epoca”, spiegaAi lavori parteciperanno anche studenti e ricercatori della Mc Gill University di MontrealLa città antica è oggi segnata da due grandi ferite, rappresentate dalla strada statale e dalla linea ferroviaria che attraversano l’area. Ma archeologi e ricercatori possono fare riferimento alla ‘fotografia’ della città derivante “da anni di ricerche geofisiche preliminari, ci hanno consentito di avere una ‘radiografia’ del sito, che ci ha permesso di ricostruire ipoteticamente la pianta della città prima ancora di scavare, fornendoci una idea di massima di quella che era la composizione di strade ed edifici da indagare e riportare alla luce”.

Così è stato possibile ricostruire in modo puntuale una città di medie dimensioni, racchiusa in mura perimetrali monumentali che cingono un’area di 20 ettari, dalla forma trapezoidale. “Oltre alle mura – aggiunge Maria Turchiano, docente UniFg di Archeologia tardoantica, cristiana e medievale – sono stati individuati isolati di 40 metri per 90 risalenti alla città romana e mantenuti anche nelle epoche successive, il decumano massimo (che corrisponde più o meno all’attuale Statale 89) e l’antico anfiteatro in grado di ospitare fino a 6-7mila persone, costruito verosimilmente in età augustea”, aggiunge.

La zona del porto,  oggi interrato e già oggetto di un saggio di scavo, è lontano dal mare, separato da una ‘striscia’ di 32 poderi realizzati con la bonifica dell’area paludosa avviata tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento. “Prima era invece lambito dal mare, l’intera costa aveva un aspetto differente”, aggiunge. “Sia la fortuna che la sfortuna di Siponto è legata al mare, se è vero che l’abbandono della città è stato determinato dall’insalubrità dell’area derivante dall’avanzata di zone paludose”. Non ci sono ancora elementi relativi al foro, il cuore delle città antiche, individuato al di sotto di una casa cantoniera sorta all’incrocio tra cardo e decumano massimi, e per questo destinato a rimanere invisibile ancora a lungo.

“Importanti elementi di studio sono emersi dalla domus monumentale indagata: si tratta di un’area di circa 200 mq, a più moduli e rimaneggiata nel tempo con altri ambienti aperti attorno ad un pozzo”, continua Turchiano. Si tratta di ambienti legati sia al commercio (“resti animali fanno pensare ad una bottega da macellaio aperta sulla strada”) che alla vita privata. “Il ritrovamento di vasellame e interi set di stoviglie in ceramica, invece, ci hanno fatto pensare ad una sorta di locanda”. Tutte ipotesi che troveranno conferme con scavi futuri e ulteriori indagini.

“C’è un grande sforzo di immaginazione da compiere”, aggiunge Roberto Goffredo, docente UniFg di Archeologia dei Paesaggi. “Il segreto è saper ampliare lo sguardo. La domus indagata era inserita in un quartiere restituendo una realtà viva e diversificata. Dall’altro lato della strada, a cavallo della tarda età normanna, prendeva forma un quartiere in cui c’erano fabbricati con caratteristiche diverse”, continua. “Parliamo di costruzioni a più livelli: si viveva al piano alto, mentre il piano terra era riservato a botteghe o allo stallo di animali”. Dagli scavi è emersa anche una cisterna per la raccolta delle acque piovane, “conservata integra al di sotto del piano pavimentale”, collegata ai pluviali con un sistema di tubature in terracotta. Per quanto concerne l’area dell’anfiteatro è stata ricostruita la grande struttura ellittica dedicata allo spettacolo, di 78 metri di lunghezza per 68 di larghezza, una parte della quale – una parete esterna – era stata inglobata in una masseria del 1500.“In epoca medievale, aveva cambiato la sua destinazione d’uso”, spiega Goffredo. “Era diventato una sorta di cimitero, ospitando sepolture anche multiple, con più salme deposte all’interno”. Almeno una decina le sepolture riportate alla luce durante gli ultimi scavi. Infine, i risultati sul saggio effettuato nell’area portuale: “Sono stati indagati soprattutto magazzini e luoghi funzionali allo scarico delle merci o al controllo delle attività mercantili e commerciali, tutti fabbricati molto simili come pianta”, aggiunge. Gli scavi proseguiranno nelle stagioni a venire, nell’ottica di una archeologia aperta al territorio e per il territorio, con visite durante le campagne di scavo, laboratori e rievocazioni storiche per far rivivere l’antica Sipontum.

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