Grano, porti vuoti in Puglia: caro pane nel Mediterraneo

Pane, pita, eish baladi (la focaccia rotonda egiziana), khubz libanese, markook, nel Mediterraneo e nei Paesi mediorientali cambiano nome, sistemi

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Pane, pita, eish baladi (la focaccia rotonda egiziana), khubz libanese, markook, nel Mediterraneo e nei Paesi mediorientali cambiano nome, sistemi di cottura, farine, ma ciò che non cambia è il ruolo che l’alimento occupa nella dieta di milioni di persone, povere soprattutto. E, sulle sponde di carambola della guerra Russia – Ucraina, è proprio su questa marea umana che sta per abbattersi il peso della guerra.
La Russia è il primo esportatore mondiale di grano e il più grande produttore dopo Cina e India; l’Ucraina è tra i primi cinque esportatori di grano al mondo.

BOMBA GEOPOLITICA

Il tema, di per sé una potenziale bomba geopolitica, è ben presente al Centro internazionale di alti studi agronomici Mediterranei-CIHEAM Bari. Da questo osservatorio privilegiato, Il direttore aggiunto, Biagio Di Terlizzi, sa bene, per esempio, che l’Egitto ha un’agricoltura che non riesce ancora a far fronte alle esigenze dei 105 milioni di cittadini: il Paese è il più grande importatore mondiale di grano e tra i primi 10 importatori mondiali di olio di girasole. L’85% del grano del Cairo proviene da Russia e Ucraina, così come il 73% dell’olio di girasole.

L’esperto ritiene plausibile che l’attuale situazione di domanda e elevata e scarsità di prodotto possa creare squilibri nei Paesi del Medio Oriente e Nord Africa (MENA), «problemi dal punto di vista della sicurezza alimentare che potrebbero indurre, speriamo di no, fenomeni di instabilità, disordini sociali». Ma se c’è un Paese in crisi nera, quello è il Libano. L’esplosione nel porto di Beirut del 4 agosto 2020, oltre a seminare morti e feriti, ha distrutto la principale struttura di stoccaggio. I libanesi, a oggi, pare abbiano una fornitura di grano per un mese e non possono più averne dal loro fornitore, l’Ucraina.

«Il Libano – spiega Di Terlizzi – ha un’altra criticità, legata all’aspetto energetico. Avere il grano vuol dire avere mulini e se non c’è disponibilità energetica… Pensi che, in alcuni casi, lì c’è solo un’ora di energia al giorno. D’altronde, è difficile immaginare che un’azienda possa acquistare semola, farine, con quei livelli di prezzo. Poi ci sono grandi numeri di rifugiati siriani, che incidono su una popolazione già allo stremo».

IL FOSFORO DEL MAROCCO

Russia e Ucraina sono anche esportatori di fosforo e ora, questa disgraziata congiuntura bellica, può avvantaggiare il Marocco che possiede oltre il 70% delle riserve mondiali di rocce fosfatiche (da cui deriva il fosforo utilizzato nei fertilizzanti). «Per la verità ne hanno anche la Giordania e la Tunisia – spiega Di Terlizzi – Però bisogna specificare che la qualità dei loro concimi è, a volte, inferire a quello italiano. Tant’è che spesso si approvvigionano da noi, come l’Egitto. Con la guerra, è prevedibile che il prezzo dei nostri concimi aumenterà ma, forse, si apriranno altri canali. Certamente nuovi equilibri si creeranno».

GRANAIO CINA E I PROBLEMI IN PUGLIA

Alla fine la Cina, che controlla il 51% delle riserve globali di grano, potrebbe approfittarne. «Loro – sottolinea il direttore aggiunto CIHEAM Bari – con i grandi aereali che hanno rilevato in Africa, potrebbero anche orientare quelle grandi superfici con la produzione dei cereali. Potrebbe essere. Penso sorgeranno nuovi equilibri, ma ne potremo avere contezza solo nelle prossime settimane».
La situazione – afferma Coldiretti – è critica anche in Puglia. Al tema dei prezzi (mais +17% in una settimana dall’inizio della guerra, soia per l’alimentazione degli animali +6%), s’associa quello della «chiusura dei porti sul Mar Nero che impediscono le spedizioni e creano carenza sul mercato». E Coldiretti Puglia denuncia: «Il porto di Bari è drammaticamente vuoto perché non arrivano navi da Russia e Ucraina con mais e soia».

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