Mafia se ne parla diffusamente

«LA MAFIA non si combatte con la violenza ma con la cultura»: è il concetto di fondo col quale il Circolo Unione “Pio Longo”, ha aperto le “Conversazi

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«LA MAFIA non si combatte con la violenza ma con la cultura»: è il concetto di fondo col quale il Circolo Unione “Pio Longo”, ha aperto le “Conversazioni con la madre di Peppino Impastato” Felicia Bartolotta, raccolte da Mari Albanese con Angelo Sicilia animatori del Forum sociale antimafia di Cinisi, la città natale di Peppino Impastato al quale Manfredonia ha intitolato il Laboratorio urbano culturale. Un racconto tra intimo e pubblico di un giovane magistrato trucidato selvaggiamente dalla mafia, ammantato di dolore ma anche proteso verso la speranza per il futuro. Un contributo del Circolo Unione a quella ricerca di legalità smarrita, di sprono per il cambiamento effettivo e profondo in una città dove le dichiarate infiltrazioni mafiose hanno richiesto l’intervento dello Stato.
LA PRESENTAZIONE del libro di Mari Albanese, è stato l’ultimo incontro, in ordine di tempo, dedicato alla discussione sul fenomeno mafioso. Questa estate scorsa ha offerto numerose occasioni nelle quali si è discorso di mafia: manifestazioni pubbliche, presentazione di libri e via dicendo. C’è stata una particolare e diffusa riflessione verso quel fenomeno anche sulle rive del golfo adriatico, dove non sono mancati omicidi, provvedimenti nel 2019 di scioglimento dell’amministrazione comunale, di incandidabilità di alcuni amministratori, di interdizione di alcune attività economiche, senza sottacere la spedizione di proiettili (ultimo caso all’amministratore unico dell’ASE), l’incendio di automobili, l’ultima di recente ad un ex consigliere comunale. Una serie di episodi che associano Manfredonia, rileva la DIA, alla mafia dell’area garganica definita «una criminalità modernissima la cui misura di infiltrazione è data dai provvedimenti di scioglimento dei consigli comunali di Monte Sant’Angelo, Mattinata e da ultimo Manfredonia».
MA COSA è la mafia? Una risposta a questa domanda ricorrente, la offre il libro “Malapuglia – Le organizzazioni mafiose in Puglia” (Lit Edizioni Srl, 107 pag, 13,50 euro) di Andrea Leccese, un alto ufficiale della Guardia di finanza che ha fatto parte della DDA di Bari assegnato ai territori di Foggia e del Gargano. Un profondo conoscitore della situazione nella sua evoluzione e stabilizzazione. L’autore ne ha parlato a Manfredonia nel corso di un incontro pubblico promosso dall’associazione “Agiamo”. Un manuale nel quale sono esaminate e analizzate le varie mafie sul territorio pugliese, dalla “Sacra corona unita”, alla “malavita barese”, alla “mafia foggiana”, alla “mafie di sussistenza” operanti nei vari centri abitati.
RIFERENDOSI alla Capitanata, Leccese identifica tre distinti fenomeni di tipo mafioso cristallizzati in sentenze definitive: la Società foggiana divisa in tre “batterie” operanti nel capoluogo e nei comuni del centro-nord della provincia; la mafia cerignolana operante a Cerignola e nei comuni del sud foggiano; la mafia garganica distinta in diversi clan familiari attivi soprattutto nei comuni di Monte Sant’Angelo, Manfredonia, Lucera, San Nicandro Garganico, Vieste. Tra i punti di forza dei sodalizi di Capitanata, Leccese ha indicato «la capacità di rigenerarsi grazie all’abbondanza di “giovani leve”. Notevole altresì – ha aggiunto – la capacità dei clan foggiani di intessere alleanze sia con altre mafie (campana e calabrese in particolare), sia con organizzazioni straniere».
TRA I MOTIVI che hanno favorito la diffusione del fenomeno mafioso, Leccese ha indicato «il ruolo non marginale della lunga “sottovalutazione” da parte dell’autorità giudiziaria che ha significato impunità per i boss». Critico altresì nei confronti della «soppressione nel 2013, del “tribunalino” di Lucera a seguito di uno “spietato” decreto di tagli indiscriminati alla spesa pubblica» che ha di fatto sguarnito la presenza della magistratura.
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Michele Apollonio

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