Mamma, li turchi! 16 agosto 1620

Sono passati ben 401 anni dal sacco dei turchi, eppure Manfredonia ne conserva tuttora le tracce. Alcuni edifici del centro storico hanno infatti all’

Duro colpo ai ‘Bagni Bonobo’: confermata l’interdittiva, revocate concessioni
Mariupol attaccata anche dal mare, bombardate coste Odessa
Rapina aggravata, lesioni e resistenza: arrestato 30enne

Sono passati ben 401 anni dal sacco dei turchi, eppure Manfredonia ne conserva tuttora le tracce. Alcuni edifici del centro storico hanno infatti all’interno ancora le pareti annerite dagli incendi con cui gli ottomani misero a ferro e fuoco la città ed è questo un dettaglio suggestivo che mi ha fatto riflettere sull’eccezionalità di quell’evento.

Era un afoso 16 agosto proprio come oggi quando lo sguardo dei sipontini venne catturato dalla presenza in mare di ben 55 galee all’orizzonte a vele spiegate, una dietro l’altra. A quell’epoca erano gli spagnoli a reggere la città ed il governatore Don Fernando de Velasco inviò tre uomini a cavallo a Chianca-Masjille (Chianca Masitto) per accertare che la flotta che stava sbarcando appartenesse, come si pensava, ai veneziani. Ma quando le galee approdarono, i tre uomini di Don Fernando capirono subito che qualcosa di tremendo stava per accadere.

Uno dei tre, galoppando all’impazzata, ritornò a Manfredonia e alle porte della città iniziò a gridare con tutto il fiato che aveva in corpo: “Turchi! Turchi!”.

I soldati sbarcati dalle navi si disposero in tre squadroni e marciarono verso Manfredonia “rovinando e abbrugiando quanto se li parava dinnanzi”. Un panico incontrollato si diffuse in città: alcuni cercarono rifugio nel castello, altri cercarono scampo “alla Montagna”, chi si barricò nelle chiese, chi si nascose nelle fosse del grano, chi nel fondo delle cisterne, altri si barricarono in casa “come fantasmi, tutti di qua e di là, scampavano, senza salvare altra robba che quanto vestivano”.

I turchi entrarono a Manfredonia sfondando la fradicia Porta ‘vecchia di cent’anni’ alla via della Montagna (via Scaloria, all’incirca all’altezza di via Tribuna). Migliaia di soldati ottomani riversarono ovunque la loro ferocia inumana: i bambini che trovavano dinanzi venivano lanciati contro i muri, le donne stuprate e quelle che si opponevano ammazzate e appese con le parti intime in vista, gli anziani impiccati alle travi.

Nell’arco di tre terribili giornate i turchi si impadronirono di Manfredonia e al grido di “Uè – Uè”, depredarono e incendiarono le chiese, i conventi e i palazzi. Rasero completamente al suolo la cattedrale gotica, la più bella di Puglia, dandola alle fiamme, e bruciarono il corpo di San Lorenzo Majorano (di cui si salverà solo un pezzo del braccio ancora oggi conservata nell’attuale cattedrale).

Quando finalmente da Foggia arrivarono i rinforzi, le ostilità cessarono e iniziarono le trattative. Il governatore di Manfredonia don Fernando cedette il castello al capo dei turchi, Alì Pascià, in cambio della salvezza della sua pelle e di quella della sua famiglia. Ma i sipontini scoprirono l’inganno e intimarono allo spagnolo: “o tutti liberi o tutti a sangue e fuoco”. Un secondo messo, questa volta sipontino, il gentiluomo Antonio De Nicastro, ritornò dal comandante della flotta turca per “trattare il bene comune”. Si giunse così ad una seconda trattativa che si concluse “con la libertà di tutti”.

Lo spettacolo che si presentava agli scampati era tremendo ed i sipontini superstiti piangevano disperatamente “vedendo i carboni ardere le loro case, le piazze desolate, l’uccisi stesi per strada, le Case di Dio abbrugiate” l’icona della Madonna di Siponto “diruta e diluta”, le sepolture aperte, la campane rubate”. I turchi lasciarono ruderi e fiamme e la devastazione prese il posto di ciò che solo fino al giorno prima era una delle più belle e floride città dell’Adriatico.

Dopo tre giorni d’inferno, Alì Pascià al comando della flotta “ricca di preda”, spiegò le vele verso Costantinopoli. Sulle navi turche c’erano almeno un centinaio di donne e uomini sipontini fatti schiavi; e c’era anche una bambina di circa 8 anni, bellissima, rapita dal convento di Santa Chiara dove le monache fuggendo l’avevano lasciata ancora dormendo nel suo letto. La bambina si chiamava Giacometta Beccarini e diventò la moglie preferita del sultano. Ma questa è un’altra storia…

Maria Teresa Valente

ps: dipinto di Ciccio Telera raffigurante il sacco turchesco, conservato presso il municipio di Manfredonia

COMMENTI

WORDPRESS: 0