Via libera Ue alle trivelle in Puglia, Emiliano: «Continueremo ad opporci»

Il diritto Ue non impedisce a uno Stato membro di rilasciare più permessi di ricerca sugli idrocarburi allo stesso operatore, anche se le attività ins

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Il diritto Ue non impedisce a uno Stato membro di rilasciare più permessi di ricerca sugli idrocarburi allo stesso operatore, anche se le attività insistono su zone contigue. E’ questa l’opinione dell’Avvocato generale della Corte di giustizia europea Gerard Hogan, che si è pronunciato in occasione della controversia che ha visto la Regione Puglia ricorrere in diverse sedi giudiziarie contro quattro progetti della società australiana Global Petroleum, che ha avuto dalle autorità nazionali quattro permessi di ricerca di idrocarburi in aree tra loro adiacenti nel mare Adriatico, al largo della costa pugliese. I permessi, di 750 ettari l’uno, comprendono una fetta del basso Adriatico che va da Bari fino a Brindisi, e in parallelo ne sono stati chiesti altre 12 (per aree contigue) da altre due multinazionali che sembrerebbero in qualche modo collegate con la prima. Nel suo parere, Hogan sottolinea che secondo il diritto Ue spetta allo Stato membro determinare quali aree del suo territorio sono disponibili per l’esercizio di questo tipo di attività e i requisiti per la protezione dell’ambiente, garantendo l’accesso a tali attività da parte di tutti gli operatori pubblici e privati, indipendentemente dalla loro nazionalità.

L’autorità giudiziaria comunitaria si è pronunciata in merito alla questione pregiudiziale sollevata lo scorso anno dal Consiglio di Stato nell’ambito dell’appello presentato dalla Regione contro le sentenze del Tar Lazio, che avevano ritenuto legittimi i permessi rilasciati alla Global Petroleum. Per i giudici è necessario stabilire se la direttiva 94/22, relativa alle condizioni di rilascio e di esercizio delle autorizzazioni alla ricerca di idrocarburi obblighi uno Stato membro a imporre un limite massimo all’estensione geografica delle aree nelle quali un determinato operatore può effettuare questo tipo di attività. L’impostazione regionale era questa: per evitare che si possa eludere la normativa nazionale – che pone dei limiti ben precisi sia di durata che di estensione dei permessi di ricerca – il limite di 750 ettari non dovrebbe valere solo per il singolo permesso ma anche per il singolo operatore.
L’avvocato generale della Corte, invece, la pensa diversamente. Gli Stati membri hanno la facoltà di individuare quale possa essere l’area per effettuare le attività di rilevazione, ma non devono necessariamente indicare con precisione l’estensione di tale superficie né porre ulteriori limiti. Però possono stabilire particolari condizioni a tutela dell’ambiente.

COSI’ AL REFERENDUM LA PUGLIA SCELSE IL NO TRIV – La Puglia ha una forte opinione pubblica schierata sulle posizioni «No Triv»: nel referendum del 2016 – che aveva la Puglia di Michele Emiliano tra le regioni promotrici contro il governo Renzi – il no alle trivellazioni ottenne nelle sei province un vero plebiscito, anche per il sostegno quasi unanime dei partiti territoriali, schierati in difesa delle bellezze del paesaggio marino. La consultazione, però non raggiunse il quorum nazionale: gli elettori furono solo il 31,19%).

LA REPLICA DI EMILIANO –  «Lo svolgimento delle attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi produce un importante impatto negativo sull’ecosistema marino, incidendo in maniera irreparabile sull’habitat di tante specie che popolano l’Adriatico e, di riflesso, anche sulle attività economiche – pesca e turismo – che dal mare traggono la loro forza e ragion d’essere. Per questo, alla luce del parere – non vincolante – espresso dall’avvocato generale della Corte di Giustizia Europea Gerard Hogan, intendiamo ribadire la nostra posizione di netto rifiuto a nuove trivellazioni al largo della Puglia”: lo dichiarano il presidente della Regione Puglia Michele Emiliano e l’assessora regionale all’Ambiente, Anna Grazia Maraschio.
«Un rifiuto – aggiungono – che oggi, con il via libera europeo al Pnrr, trova ulteriore legittimazione nel cammino di transizione ecologica che l’Italia intende avviare. Sappiamo che la sfida del futuro si gioca sull’ambiente e sulla sua tutela: avallare nuove prospezioni e ricerche di idrocarburi significherebbe compiere una scelta politicamente miope e amministrativamente incoerente. Siamo quindi fiduciosi – proseguono – che il governo attuale – correggendo l’errore fattuale e di prospettiva compiuto da chi lo ha preceduto quando queste prospezioni sono state autorizzate – vorrà essere al nostro fianco in una battaglia di buon senso che la Puglia ha voluto portare fino alla Corte di Giustizia europea, della quale attendiamo fiduciosi il verdetto». Sono quattro i permessi di ricerca di idrocarburi contestati in tribunale dalla Regione e concessi dall’allora governo Renzi all’australiana Global Petroleum e che interessano una superficie di tremila chilometri quadrati che abbraccia le coste di Bari e si allunga fino al largo di Brindisi. «Dire di sì a questo sfruttamento intensivo del mare, peraltro da parte di un unico soggetto, costituirebbe un precedente pericoloso. La transizione verso un progresso rispettoso dell’ambiente e delle generazioni future passa anche da qui, dalla nostra Puglia», concludono Emiliano e Maraschio.

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