Gocce di sudore, ovvero il mio documentario africano, # 1

Ritorna Lucio Cascavilla per raccontarci le sue disavventure nella realizzazione del documentario The Years We Have Been Nowhere, ideato da Lucio e da

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Ritorna Lucio Cascavilla per raccontarci le sue disavventure nella realizzazione del documentario The Years We Have Been Nowhere, ideato da Lucio e da Mauro Piacentini, che esplora la realtà dei deportati, immigrati della Sierra Leone rispediti in patria dall’Europa e da altri paesi nei quali cercavano di crearsi una vita migliore. È ancora attivo il progetto di crowdfunding per il completamento del documentario. interno 1 gocce 1 ritratto lucio

Lucio Cascavilla vive, e lavora con i deportati, a Freetown, Sierra Leone. Le sue pubblicazioni: Punk road in Cina (Robin, 2012), racconto dell’avventura decennale di Lucio come rockstar degli Smegma Riot in Cina; L’utopia del rispetto (Lettere Animate Editore, 2016), romanzo di fantascienza: Sogni, segni e sintomi. Racconti dalla Cina (Morlacchi, 2019), raccolti nella Terra di Mezzo durante la sua lunga permanenza cinese, tra Kunming, Canton e Pechino. Da ottobre 2020 è disponibile sul sito di Lucio il suo ultimo romanzo, pubblicato a puntate, che parla di Sierra Leone, Cina, Covid, Universo e altro. A novembre 2021, se tutto andrà bene, dovrebbe uscire la sua prima Graphic Novel, pubblicata da Morsi Editore.

Quello che leggerete di seguito è un resoconto di parte, quindi potenzialmente falso perché il documentario non lo sto girando da solo, ma insieme a Mauro Piacentini. Invece le persone qui incontrate e le malattie di cui descriverò gli effetti, sono tutte terribilmente vere. Potete decidere voi cosa sia vero, cosa falso e cosa possa essere sia vero che falso nello stesso tempo.

1- Il burbero

Sono in mezzo alla strada. Congo Cross. Freetown, Sierra Leone. Un colpo di clacson mi ha spaccato i timpani. C’è qualcosa nell’aria, come puzza di merda. Sbadiglio. Ho sentito un fremito nella tasca; se controllo il telefono, il sospetto diventerà certezza.
Una goccia di sudore mi scende lungo la tempia, tremo. Una lieve vibrazione nello stomaco: a Freetown non esistono bagni pubblici.
La settimana era cominciata male, in pochi giorni avevamo toccato il fondo, ma la mattinata aveva dimostrato che c’era ancora il tempo e lo spazio per scavare.
Non appena era suonata la sveglia mi ero alzato. Il ventilatore che sparavo sul letto era fermo. Avevo blaterato qualcosa e mi ero lamentato. Non c’era corrente. Ero andato in bagno, al buio, visto che alle sei, il sole all’equatore, non è ancora sorto.
Dopo aver pisciato, avevo premuto il dosatore del barattolo di sapone liquido, per lavarmi le mani. Avevo sentito un rumore, ma il rubinetto del lavandino era restato asciutto.
Cristo! Anche l’acqua.
Ero rimasto con una dose di sapone liquido in mano. Mi ero recato in cucina, ma il gallone di acqua potabile, piangeva miseria: due caffè e tre bicchieri d’acqua rimasti; non potevo rischiare.
Ero tornato in bagno e mi ero pulito la mano con la carta igienica: ultimo rotolo, dovevo ricordarmi di comprarla.
Il caffè, quello brasiliano, a otto euro il pacco, faceva schifo; ma questa non era una novità.
Ma che cazzo mi era saltato in testa?
Perché ero venuto a girare un documentario in Sierra Leone?
Mentre il sole lento faceva capolino sulle colline che circondano il mare, avevo applicato il deodorante a freddo, preparato lo zaino, raccolto i soldi ed ero uscito. Mentre per strada ero alla ricerca di un mezzo di locomozione avevo capito che aveva ragione Chinua Achebe: le cose crollano, all’improvviso.
E avevo temuto non per la mia incolumità personale, ma per il futuro.

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2- Gli avidi

Sono in attesa del tre ruote adibito a taxi. Un balocco per bambini più che un mezzo di locomozione. Poi la goccia di sudore.
Millicent.
Devo andare a svegliare Millicent.
Millicent è l’attrice principale del documentario che stiamo girando.
Millicent è subentrata nella lavorazione del film all’ultimo minuto; ma il messaggio ricevuto non è da parte di Millicent.
Millicent sta dormendo.
Cristo, Millicent!
Perché tutto sta crollando, intorno a me?
Perché anche le persone di cui mi fidavo mi stanno abbandonando?
Il mio amore per l’alcol mi aveva fatto deragliare; ero ubriaco e volevo impressionare una ragazza, la sciantosa di un locale: sai, sto girando un film.
Il ministero dell’informazione e della cultura, allertato dalla donzella, aveva immaginato Rodolfo Valentino e Cecil B. De Mille; mi aveva chiesto cinquemila dollari per l’autorizzazione, cent più, penny meno e aveva preteso champagne e mazzette per tutti; come se piovesse.
Il dramma si era consumato davanti all’autista, Karim, mentre rispondevo al telefono; lui si era fatto i suoi conti e aveva cominciato a chiedere mance sempre più salate e, ogni qualvolta non era stato accontentato, aveva rispolverato la sua allergia per la sveglia, presentandosi in ritardo.
Karim era il figlio di Aysha la nostra cambusiera che ci preparava uno squallido pranzo, così zeppo d’olio di palma che tutti i nutrizionisti dell’Unione Europea, del Commonwealth e dell’emisfero occidentale avrebbero aperto un contenzioso al tribunale dell’Aja per i diritti umani; il prezzo del rancio aveva subito un grazioso ritocco ogni due giorni per ricordarmi che io ero ricco ed europeo.
Può essere solo Ross, al telefono, il cameraman che sta girando con me il documentario.
E allora quell’ultimo baluardo a cui mi ero abbrancato si sgretola e mi sento scivolare, di sotto, anche se sono al piano terra e mi guardo intorno alla ricerca di una soluzione, ricordando che, bagni pubblici, a Freetown non ce ne sono.

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3- L’infermo

La goccia scivola, dalla tempia fino alla guancia. Inspiro, espiro, e cerco di distrarmi; anzi, devo distrarmi.
Dissenteria del viaggiatore?
Prego!
Prego che la mia non sia la stessa goccia che aveva solcato la fronte di Ross, sei giorni quattordici ore e trentatré minuti prima.
Aveva avuto giusto il tempo di trascinarsi fino al cesso; un momentaneo attimo di perdita della ragione.
L’attesa fino al mattino e poi la certezza: ciao regista! Vedi che io non posso girare, non posso bere caffè, non posso muovermi.
Non poteva alzarsi dal letto, aveva scritto, riferendosi al cesso.
Maledetto cazzone.
Avevamo cancellato le riprese per quel giorno. Il messaggio terminale decisivo, giunto a mezzogiorno, era la foto di una flebo nel braccio. Si stava riprendendo dalla disidratazione notturna.
Tifo.
Facile diagnosi. In Sierra Leone conoscono tre malattie: la malaria, il tifo oppure la malaria e il tifo, uniti in combo, come un super gruppo rock degli anni ’70.
I medici non sono capaci di diagnosticare null’altro.
E Ross era rimasto in ospedale, per cinque giorni.
E il nostro tempo si assottigliava: quello per girare e, in un’analisi più ampia, quello che avevamo da vivere.
Dopo quattro giorni di procrastinazione avevo scritto all’infermo che ancora dimorava all’inferno: Caro Ross ti scrivo, così mi distraggo un po’. Ho bisogno di qualcuno che mi dia una mano; devo girare.
Ross mi aveva messo in contatto con Miles, il sostituto cameraman, che di cognome faceva Stone: la pietra miliare.
Così miliare che non aveva assolutamente ordine e si era presentato in ritardo di due ore e trentasette minuti, ma col sorriso di chi era arrivato in anticipo.
Mi faccio coraggio. Due messaggi. Miles era corso in ospedale ad accompagnare la moglie che doveva partorire.
Il secondo figlio bussava per affacciarsi al mondo: Buonasera a tutti, sono il figlio di mio padre e, siccome sto per arrivare tra voi, esseri viventi, il mio genitore è impossibilitato ad aiutarvi.
Perché sono un imbecille?
Ho ceduto la macchina al cameraman, che deve raggiungermi con la telecamera, il treppiede, le batterie, le lampade e la valigia con i microfoni. Non può arrivare a piedi caricandosi sulla schiena tutto il materiale e non possiede nemmeno un asino!
Karim, l’avido autista, sta andando a casa di Ross a prendere Miles che non arriverà.
Ross con uno sforzo estremo spera di poter venire a darmi una mano, ma non prima di mezzogiorno.
E tutto crolla. Io galleggio ancora, ma vedo le macerie che rotolano verso il fondo, i sassi che galoppano inseguendosi e io che indefesso cerco di tenere alta la bandiera.
Cos’è? Onore?

Copertina e foto  di Lucio Cascavilla

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