Coronavirus: 90% italiani chiede più protezione, 1 su 3 interessato a polizze sanitarie

La pandemia ha cambiato l'approccio degli italiani ai bisogni di assistenza. "Due su 3 mostrano una forte preoccupazione per la protezione della propr

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La pandemia ha cambiato l’approccio degli italiani ai bisogni di assistenza. “Due su 3 mostrano una forte preoccupazione per la protezione della propria salute a causa della pandemia. Il 90,8% degli italiani richiede maggiore protezione in caso di nuova emergenza sanitaria. Oltre 1 su 3 dei cittadini è interessato a rispondere a questa esigenza attraverso una polizza sanitaria (+50% rispetto alla rilevazione 2019)”. E’ quanto emerge dall’ultimo “Rapporto sulla sanità pubblica, privata e intermediata-oltre il Covid-19, un secondo pilastro per la protezione della salute“, realizzato da Intesa Sanpaolo Rbm Salute e dalla Fondazione Censis su un campione di 10mila italiani.

La ‘lesson learned’ della pandemia mostra quanto sia fondamentale disporre di un sistema di tutele supplementari a quelle del Servizio sanitario nazionale (Ssn) che consenta non tanto di avere il rimborso delle spese da sostenere al di fuori del Ssn ma che consenta l’accessibilità a queste cure, quindi un fatto organizzativo di disponibilità di cura attraverso quei circuiti che il settore assicurativo da tempo mette a disposizione come complemento fondamentale delle polizze sanitarie”, spiega all’Adnkronos Salute Marco Vecchietti, Amministratore delegato e Direttore generale di Intesa Sanpaolo Rbm Salute . “Quindi in realtà è la disponibilità di un circuito alternativo di strutture sanitarie, di percorsi di cura l’elemento che in qualche modo è diventato di interesse fondamentale più che il fatto di avere, attraverso l’assicurazione, solo ed esclusivamente il rimborso di quelle cure che devono essere effettuate presso le strutture private, perché rispetto a questo bisogno gli italiani, lo sappiamo, per anni hanno preferito far fronte con la cosiddetta scommessa in proprio”.

Altro dato che emerge dal report è che per il 93% degli italiani il sistema sanitario dovrà cambiare profondamente. “La pandemia, da un lato, si è inserita sicuramente in un percorso di consapevolezza che era già presente nella popolazione italiana rispetto all’importanza della presenza affianco alla tutela principale, quella del Ssn, anche di una disponibilità della sanità privata – prosegue Vecchietti – Si è inserita in questo percorso ma con degli elementi innovativi derivati da questa situazione appunto emergenziale, nuova, particolare che ci siamo trovati a vivere perché si è compreso ad esempio, ed è forse la prima volta, che emerge con così grande chiarezza, come non basti più utilizzare la sanità privata come una sorta di ‘bancomat della salute’ che vuol dire che la sanità privata non può essere utilizzata di fronte ad un’emergenza come uno strumento ‘on demand’ ma in realtà l’elemento fondamentale è quello di disporre di un sistema organizzato che consenta l’accesso alle cure in modo parallelo e alternativo rispetto al Ssn”.

“Di fronte all’emergenza – prosegue l’Ad e direttore generale di Intesa Sanpaolo Rbm Salute – i percorsi di cura tradizionali tendono a essere saturati e tutti orientati sulla gestione emergenziale, sulla protezione dalla diffusione della pandemia e quindi non possono più garantire la continuità, ad esempio, della tutela delle patologie croniche, piuttosto che dei percorsi di assistenza dei non autosufficienti, dei più fragili, degli anziani. Dunque – osserva Vecchietti – per la prima volta, i cittadini hanno riscontrato come la disponibilità economica, diciamo sola e semplice, non basta di per sé a garantire un surplus di opportunità di cura. Questo perché, di fronte a queste situazioni emergenziali, anche le stesse strutture sanitarie private rischiano di diventare inaccessibili o non parimenti accessibili come in un periodo ordinario di fronte a queste situazioni emergenziali”.

L’indagine Intesa Sanpaolo Rbm Salute – Censis evidenzia che c’è stato un incremento del 50%, rispetto alla stessa rilevazione effettuata nel 2019, del numero di cittadini che si sono dichiarati disponibili, a breve, a sottoscrivere una polizza sanitaria. “Si consideri che oltre 1/3 degli intervistati ha dichiarato questa disponibilità e si parla appunto di una crescita del 50% rispetto allo stesso dato rilevato nel 2019 – precisa Vecchietti – Questo testimonia ancora una volta che non è tanto la disponibilità economica aggiuntiva che il cittadino sta ricercando ma la maggior protezione in campo sanitario. Quindi, un percorso di cura alternativo, la possibilità di fronte al bisogno di avere una risposta più personalizzata, magari con strumenti e percorsi di telemedicina, di teleassistenza, la possibilità di non rimanere da solo, di non discontinuare il proprio percorso di gestione delle cure croniche”.

Le possibilità offerte dal Recovery Fund per cambiare in meglio il Ssn, come più volte annunciato dal ministro Speranza, lasciano aperta la speranza anche per una innovazione nella direzione da voi tracciata? “Io credo che il Recovery Fund rappresenti una grande opportunità, perché rappresenta l’opportunità di avere delle risorse potenzialmente investibili anche strutturalmente nel sistema sanitario del nostro Paese – risponde Vecchietti – Noi sappiamo che già nel VII Rapporto Rbm-Censis, avevamo identificato come fabbisogno aggiuntivo di risorse per il sistema sanitario circa 25 miliardi nel quinquennio che porta sostanzialmente al 2025. Questa situazione era stata identificata nelle nostre analisi come situazione necessaria per poter intercettare i bisogni di cura del cittadino con un livello di copertura che fosse adeguato rispetto ai bisogni considerando l’incremento del tasso di cronicità, l’incremento della longevità, l’aumento del tasso di dipendenza, anche la diffusione crescente dei casi di multi-cronicità nonché tutta una serie di innovazioni che, sia a livello farmaceutico che di percorso chirurgico e diagnostico, erano intervenute in campo sanitario”.

“Allora il punto è identificare, auspicabilmente, uno spazio all’interno di questi investimenti per due misure che noi riteniamo potenzialmente molto importanti di supporto alla diffusione della sanità integrativa – suggerisce Vecchietti – che possano garantire, attraverso l’accessibilità per un numero maggiore di cittadini di queste soluzioni, poi un alleggerimento indiretto sul servizio sanitario nazionale della pressione soprattutto in campo extraospedaliero e dall’altro che possano consentire di fronte a situazioni emergenziali come quella che abbiamo appena vissuto e che stiamo, ancora vivendo possano consentire dei percorsi alternativi ai cittadini. Percorsi alternativi che poi indirettamente finirebbero anche per agevolare la risposta emergenziale che è di competenza ovviamente diretta se non esclusiva del Ssn”.

“Da questo punto di vista ci sono due leve fondamentali: la sanità integrativa è prevalentemente diffusa nel mondo del lavoro dipendente, questo perché ha un impianto fiscale che è totalmente costruito per agevolare le aziende e i lavoratori nell’attivazione di forme di sanità integrativa. Al di fuori di questo modello fiscale – precisa l’Ad e direttore generale di Intesa Sanpaolo Rbm Salute – anche le altre categorie di lavoro, penso ai lavoratori autonomi, i liberi professionisti, non hanno nessuna agevolazione fiscale, ed è chiaro che in assenza di questa agevolazione fiscale, in un contesto nel quale i cittadini sono abituati a scommettere in proprio rispetto al rischio sanitario diventa molto difficile far crescere la diffusione della sanità integrativa”.

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