WILLY. QUANDO L’ALTRUISMO DIVENTA UNA COLPA

Mentre, anche nella nostra città, in questi giorni, eravamo alle prese con fatti di cronaca legati a episodi di rissa verificatisi sul nostro lungom

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Mentre, anche nella nostra città, in questi giorni, eravamo alle prese con fatti di cronaca legati a episodi di rissa verificatisi sul nostro lungomare, ecco che siamo rimasti tutti sconcertati, frastornati, e anche indignati e arrabbiati per il brutale e tragico omicidio di Willy a Colleferro. Tanti commenti e tante riflessioni sulla stampa nazionale.

Va bene! Ma per favore, non dite che chi ha ucciso Willy è regredito a livello animale. Gli animali non uccidono per futili motivi. Solo gli uomini lo fanno! Come ha scritto su La Stampa di qualche giorno fa lo psicanalista lacaniano Massimo Recalcati “nessun animale sarebbe capace di raggiungere la ferocia alla quale può giungere la violenza umana”. E questo per il semplice motivo che “l’animale agisce mosso dalla legge dell’istinto che prevede la sopravvivenza della specie, dunque la difesa del territorio, la necessità di procurarsi cibo, ecc. Ma l’essere umano? Il suo esercizio della violenza non riflette affatto una legge istintuale, ma un godimento pulsionale”. L’uomo non uccide per istinto ma per scelta.

Una cosa è certa: la violenza non ama la normalità, piuttosto la teme. E lo fa perché non ne è all’altezza. E capita spesso che quando non può averla, ecco che la distrugge. E quando si ha l’occasione ecco che non si sopporta che un ragazzo –  tra l’alto di colore – sfidi con il suo altruismo la stupidità di una forza bruta giunta ormai a un livello tale che la si riesce più a controllare.

Quei due giovani mal sopportavano un corpo normale, una gestualità normale. Al contrario, hanno interpretato la normalità come segno di debolezza, arretratezza e inferiorità. Hanno coltivato per anni il mito di un corpo invincibile, identificando la forza con la potenza distruttiva di un corpo palestrato, che nulla ha a che fare con lo sport delle arti marziali. Infatti, si sa che chi le pratica è vincolato ad un codice etico tra i più severi. Per tale motivo, “a fondamento di questo episodio non c’è alcuna educazione sportiva, ma solo l’uso criminogeno e militarizzato di tecniche letali scorporate dalla loro finalità agonistica. Allora il corpo diventa un’arma di combattimento priva di etica e pietas”.

E allora che colpa ha avuto Willy? Come ancora scrive molto bene Recalcati “La sua colpa imperdonabile è stata probabilmente quella di aver provato a portare la pace, di avere introdotto al posto della Legge dei pugni quella della parola. La sua colpa è stato il suo tentativo di evitare lo spargimento del sangue. Ma per l’umano, quando è preda al godimento della violenza, la parola suona sempre come un’offesa. Nel duello mortale, nella lotta spietata dei corpi, nello scontro fisico, nell’esercizio della violenza la parola è costretta a tacere”.

Due forze a confronto, quindi: da un lato, quella della parola, spesso disarmata e disarmante, fragile e labile, dall’altro, quella dei corpi senza alcuna disciplina. Corpi senza interiorità. Macchine da guerra senza alcun orizzonte alternativo a quello puramente materialistico. Mitizzati e idolatrati. Non coltivati o curati con rispetto e sobrietà, ma adorati in culti che li ha trasformati in prigioni. E allora, forse è vero che “è proprio l’assenza della parola che fa sorgere la violenza”. La parola, infatti, umanizza, addomestica i nostri istinti. E’ esercizio di decentramento. Di uscita dal proprio ego. La parola ci eleva e ci fa fare esperienza coni significati ultimi della nostra vicenda umana.

Non per nulla il linguaggio è una delle facoltà superiori che l’essere umano ha elaborato e grazie al quale si è civilizzato. “Il giovane Willy ha probabilmente provato a ricordare ai suoi assassini che l’umano è innanzitutto parola e dialogo”.

Chi si arrende alla violenza lasciandole tutto il campo, in fondo è uno che si è arreso al dialogo. “La violenza non accetta la pazienza del dialogo e gli equivoci della parola”. E il dialogo è lo spazio che sta in mezzo tra due luoghi chiusi costringendoli ad aprirsi. E’ l’arte che ci costringe a entrare anche dentro di noi per capire che cosa possiamo e che cosa invece non ci è consesso fare.

Che cosa è mancato allora agli assassini di Willy? Forse non solo la Legge della parola con cui autodisciplinarsi, ma anche l’esperienza di quella legge interiore che ci costringe a fare i conti con il fatto che esistono anche gli altri. Quella che Kant definiva la legge morale che è  dentro ogni uomo per il semplice fatto che è dotato di ragione. Legge che ci dice che ogni azione individuale ha effetti anche sugli altri.

Ecco allora il punto: siamo in piena eclissi della ragione o della sua riduzione a puro calcolo. E’ una situazione ormai diffusa, che abbraccia e contamina diversi ambiti, incidendo su molteplici aspetti della attuale società. Forse è per questo motivo che il vescovo di Velletri ha affermato che di questa morte siamo tutti corresponsabili: “Da dove provengono i virus della prepotenza, della violenza, della vigliaccheria, del disprezzo della vita, della stupidità che generano queste tragedie e gettano nella disperazione intere famiglie e comunità? Siamo quotidianamente seduti su una polveriera, che può esplodere improvvisamente e di cui non abbiamo consapevolezza“.

E’ proprio vero: quando la ragione si ritrae, chi può farci da guida, chi può darci la misura? Chi può avvisarci che stiamo oltrepassando il limite che non ci è concesso violare? Nessuno. Quando viene a mancare la ragione, siamo orfani di tutto: della méta, della direzione, delle motivazioni, dei perchè. E’come se stessimo girando a voto su noi stessi, esposti al vuoto e al non senso di un fare e di un agire che si sente in diritto di non rispondere di niente e a nessuno. Anche la libertà viene fraintesa, perché diventa un capriccio che non si ferma davanti a nulla. Mentre il desiderio si trasforma in delirio di onnipotenza che travolge tutto e tutti.

Come ha sottolineato il parroco di Colleferro, “dietro questi ragazzi c’è il vuoto, un vuoto di valori, di famiglie scardinate, latitanti. Oggi sono i social a educare. Ma anche la Chiesa non riesce più ad incidere, a fare quello che faceva prima. Davanti abbiamo un muro: il muro dei facili guadagni, di una economia che rischia di prevalere sull’uomo, dei social, della droga“.

Ma la violenza è anche incapacità  confrontarsi con l’altro, con la sua diversità. Non tollera che l’altro non sia come me. O forse, al contrario, è, a modo suo, un modo mascherato per ribadire che non sarà mai all’altezza del mio ego. La violenza,  scrive Recalcati, “rifiuta la differenza, il pluralismo”.

Alla luce di ciò si capisce bene che la colpa di Willy è stata solo quella di aver voluto essere altruista. Di rompere il cerchio stretto dell’indifferenza. Ecco la vera diversità che i due assassini non hanno saputo cogliere in questo ragazzo di soli 21 anni. Willy ha mostrato che esiste un altro modo per esercitare la forza: quella di chi ferma tutto per farsi prossimo di un malcapitato di cui non conosci neanche il nome. Allora a Willy non solo non mancava la ragione, ma lui addirittura l’ha superata, per arrivare a usare una logica più grande e più profonda: quella del cuore. Che abisso rispetto ai due assassini!

Di fronte a tutto questi scenari, che cosa ci resta per arginare tali fenomeni? La speranza che ci rimane è che non tutti sono come i due giovani assassini. La speranza risiede tutta nella nostra capacità e voglia di tornare davvero ad educare, per insegnare alle nuove generazioni a saper stare al mondo, Per offrire loro le ragioni giuste per vivere. Ci vuole anche un pizzico di coraggio nel saper intraprendere processi educativi che richiedono impegno, fatica e dedizione. Ciascuno facendo la propria parte: dalla politica alla società civile, dalla famiglia alla scuola, dalla chiesa alle associazioni, alle istituzioni.

Il tutto, sapendo che in tanti sono come Willy, il quale non solo lavorava come aiuto cuoco, ma che era disponibile a pendere le botte per difendere un amico, rischiando qualcosa. Fare cioè quel gesto che da sempre è considerato tra i più nobili e per questo anche tra i più difficili. I meno sponsorizzati e meno pubblicizzati, ma forse anche per questo i più colpevolizzati.

Di Michele Illiceto

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