Divario crescente tra Nord e Sud, ancora fake news sul mezzogiorno

Desta tuttora sconcerto la circostanza che il recente Rapporto Italia 2020 dell’Eurispes1, l’Istituto di Studi Politici, Economici e Sociali degli ita

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Desta tuttora sconcerto la circostanza che il recente Rapporto Italia 2020 dell’Eurispes1, l’Istituto di Studi Politici, Economici e Sociali degli italiani, sia stato quasi del tutto ignorato dalla stampa nazionale. Un rapporto che trova conforto negli studi, nelle ricerche, negli articoli di intellettuali, economisti, studiosi che in questi anni si sono occupati del divario crescente tra Nord e Sud.
Eppure, ad inizio anno, non aveva usato mezzi termini il presidente dell’ Eurispes Gian Maria Fara, prendendo il via nella sua analisi proprio dal processo unitario italiano: «Sulla questione meridionale, dall’Unità d’Italia ad oggi, si sono consumate le più spudorate menzogne. Il Sud, di volta in volta descritto come la sanguisuga del resto d’Italia, come luogo di concentrazione del malaffare, come ricovero di nullafacenti, come gancio che frena la crescita economica e civile del Paese, come elemento di dissipazione della ricchezza nazionale, attende ancora giustizia e una autocritica collettiva da parte di chi – pezzi interi di classe dirigente anche meridionale e sistema dell’informazione – ha alimentato questa deriva».
L’accusa alla classe dirigente italiana e al sistema d’informazione è precisa e dello stesso tenore di quella che i meridionalisti muovono da decenni inascoltati e, spesso, oscurati proprio dai media. Non è un caso che riguardo all’informazione, tra mille difficoltà, si è cercato di diffondere ad esempio le conclusioni avanzate nel testo “La parte cattiva dell’Italia. Sud, media e immaginario collettivo” da Stefano Cristante e Valeria Cremonesini, docenti di sociologia dei processi comunicativi e culturali; conclusioni che lasciano sconcertati: negli ultimi 35 anni i media nazionali hanno messo in rilievo quasi solo i mali del Mezzogiorno creando negli stessi meridionali un immaginario percepito falsato.
Raccapricciante la constatazione che, come ha aggiunto Fara, le più autorevoli agenzie nazionali ed internazionali abbiano certificato che riguardo al Mezzogiorno «siamo di fronte ad una situazione letteralmente capovolta rispetto a quanto creduto».
Utile e necessario riproporre, ora che si tenta di sottrarre al Mezzogiorno i fondi del Recovery-fund, i dati nero su bianco del Rapporto Italia 2020, che non si differenziano da quelli spesso divulgati nel passato ma ignobilmente contestati e ignorati:
1 – Lo stato italiano nel 2016 ha speso per ogni cittadino del Centro-Nord 15.062 euro, mentre per ogni cittadino del Sud la spesa è stata di 12.040 euro, una differenza di ben 3022 euro pro-capite;
2 – Nel 2017 l’Eurispes rileva per il Centro-Nord una spesa pro-capite aumentata a 15.297 euro, per il Sud una spesa pro-capite diminuita a 11.939 euro per una differenza che aumenta a 3358 euro e che moltiplicata per il numero di abitanti del Mezzogiorno ammonta a oltre 60 miliardi annui.
Dov’è quel Sud dalle mille risorse finanziarie sprecate raccontato nei salotti televisivi di quei talk show nazionali dove giacciono onnipresenti i soliti conduttori e opinionisti?
E dov’è quel Sud a cui verrebbe distribuita gran parte della spesa pubblica, se al contrario i dati confermano che sono le regioni del Nord ad essere beneficiate da una spesa annua nettamente superiore?
Il Rapporto Italia 2020 attesta incontrovertibilmente che, in relazione alla percentuale di popolazione residente, al Sud dal 2000 al 2017 è stata sottratta una somma pari a 840 miliardi. Un dato impressionante di cui politica e media non hanno mai tenuto conto negli ultimi decenni, tanto da averci costretto a coniare l’acronimo PUN per indicare l’insieme dei partiti nazionali indifferenti alla crescita economica, sociale e culturale del Sud.
Eppure il PIL (prodotto interno lordo) del Nord si basa essenzialmente sulla vendita di beni e servizi al Sud, mentre lo scambio import-export tra le due aree del paese è interamente a vantaggio del Nord, tanto che riesce difficile comprendere come un’intera classe politica, sostenuta dai media, abbia potuto nell’ultimo trentennio pensare che lasciare il Sud senza infrastrutture e servizi potesse avvicinare il Nord all’area ricca dell’Europa. E’ del tutto evidente che abbassare il tenore di vita dei meridionali ne ha limitato il potere d’acquisto e di conseguenza il PIL delle regioni più avanzate economicamente d’Italia.
Infatti, sempre dal Rapporto Italia 2020, si rileva che per 45 miliardi annui di trasferimenti da Nord a Sud ben 70,5 miliardi si trasferiscono in direzione contraria. Dati a noi ben noti visto che Pino Aprile nel suo recente “L’Italia è finita”, citando gli economisti Paolo Savona, Riccardo De Bonis della Banca d’Italia e Zeno Rotondi autore di “Sviluppo, rischio e conti con l’estero delle regioni italiane”, ha indicato lo stesso saldo attivo per il Nord.
Chiaro il monito del Presidente dell’Eurispes: «… ogni ulteriore impoverimento del Sud si ripercuote sull’economia del Nord, il quale vendendo di meno al Sud, guadagna di meno, fa arretrare la propria produzione, danneggiando e mandando in crisi così la sua stessa economia», che fa dire al M24A senza tema di smentita che la ripartenza dopo la pandemia non può che avvenire da Sud, al di là del teatrino pietoso messo in scena da alcuni esponenti del Governo e dai soliti partiti nazionali chiaramente appartenenti al Partito unico del nord.
Appare del tutto inverosimile che ancora in questi giorni, i presidenti di alcune regioni del Nord continuino a parlare di Regionalismo differenziato e di ripartenza obbligata dalla solita arrugginita locomotiva d’Italia, nonostante le chiare analisi del centro-studi del M24A per l’equità territoriale e quelle socio-economiche circostanziate di istituti di altissimo profilo e livello che smentiscano categoricamente che il problema delle “Due Italie” risieda esclusivamente negli sprechi e nella cattiva amministrazione del Sud. Una direzione, quella della finta questione meridionale, che nel corso degli ultimi dieci anni ha visto aumentare le disuguaglianze sociali ed economiche tra aree geografiche diverse e che lo Stato, tenuto per Costituzione a rimuoverle, ha aggravato sostenendo una ripartizione territoriale per i servizi pubblici in base al principio iniquo della “spesa storica”.
Disuguaglianze che, proprio attraverso il Regionalismo Differenziato e la sottrazione di ulteriori fondi destinati al Mezzogiorno, i Governatori delle regioni del Nord e i partiti nazionali del PUN (Lega, PD, FI, FDI) vorrebbero conservare stabilmente.
Sta maturando il tempo in cui questi partiti nazionali, per lo più ormai portatori di propaganda spicciola e in piena crisi perché destinatari delle non benevole attenzioni della finanza globale, pagheranno il prezzo di scelte politiche che hanno imposto condizioni di vita e di lavoro drammatiche ai cittadini del Sud, due milioni dei quali sono dovuti dolorosamente emigrare negli ultimi decenni.
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di Michele Eugenio Di Carlo

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