«Tassa Covid» dei parrucchieri nel mirino dei clienti: scoppia la polemica

Il virus corre meno di prima ma pesa ancora sulle tasche dei cittadini. Specie su quelle di chi frequenta i saloni di parrucchieri ed estetiste, costr

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Il virus corre meno di prima ma pesa ancora sulle tasche dei cittadini. Specie su quelle di chi frequenta i saloni di parrucchieri ed estetiste, costretti tuttora a pagare la gabella che va sotto il nome di «contributo Covid»

Taglio, piega, tintura, manicure e ritocchino ai prezzi, giustificato con le spese sostenute per assicurare il rispetto delle misure anti-contagio: mascherine, igienizzanti, camici monouso.

In qualche caso sembra una vera e propria tassa, tanto da comparire nello scontrino assieme alle altre voci. Sembra, perché è una tassa che in realtà non esiste. E che rinfocola le polemiche scoppiate già al termine del periodo di confinamento, a maggio, quando i saloni hanno riaperto ed è spuntato il balzello.

Va riconosciuto che non tutti i titolari lo applicano, qualcuno lo ha fatto solo per un breve periodo dopo la riapertura, altri hanno sempre mantenuto invariate le tariffe rispetto al periodo pre-crisi. Ma tant’è: le signore che oggi fresche di piega controllano lo scontrino restano sorprese dalla sgradita presenza della «Covid tax», così come i signori appena sbarbati.
Un vero travaso di bile, invece, lo accusano i clienti che, al posto dei canonici uno o due euro in più, si vedono appioppare maggiorazioni fino a 5 euro, perfino di più se il parrucchiere o l’estetista (ma questi casi estremi sono rari) impongono magari l’utilizzo di kit comprensivi, oltre alla mascherina, di camici, ciabatte, contenitori di plastica monouso in cui riporre borse, borsette, borselli e marsupi.

La voce dei Consumatori – La battaglia contro i balzelli è subito partita in tutta Italia, con esposti e ricorso alle carte bollate per ottenere il rimborso. Al Codacons di Bari non è stata necessaria la linea dura. «I casi che ci hanno segnalato risalgono soprattutto al periodo immediatamente successivo alla fine del lockdown – dice Antonio Maria Scalioti, presidente regionale e cittadino dell’associazione a difesa dei consumatori – i cittadini ci chiamavano chiedendoci consigli su come comportarsi di fronte alla richiesta. E possiamo dire che in molte occasioni gli esercenti, di fronte alle rimostranze dei clienti, hanno fatto un passo indietro e il problema si è risolto ancor prima che pagassero».

Per Scalioti, la differenza la fa la trasparenza. «Premesso che pretendere una “tassa Covid”, o contributo obbligatorio che dir si voglia, sarebbe illegale, nel libero mercato si ha la facoltà di applicare le tariffe che più si ritiene opportune. Il problema non è chiedere qualche euro in più. L’importante – sottolinea il presidente del Codacons – è la trasparenza. Bisogna informare con chiarezza i consumatori esponendo i prezzi in modo leggibile».

In caso contrario? «Il cliente – risponde – può sollecitare l’intervento della polizia municipale perché venga verbalizzato l’accaduto in vista di una successiva azione legale».

Antonio Maria Scalioti, però, riconosce: «Dopo i primi episodi abbiamo chiesto maggiore correttezza e devo dire che la stragrande maggioranza degli esercenti ha seguito il consiglio».

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