Foggia, poca acqua per il pomodoro, ma gli investimenti tengono

Quest’anno sul pomodoro made in Capitanata poggia una congiuntura favorevole, se non fosse per l’approvvigionamento idrico-irriguo questione antica pe

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Quest’anno sul pomodoro made in Capitanata poggia una congiuntura favorevole, se non fosse per l’approvvigionamento idrico-irriguo questione antica per gli agricoltori della provincia più agricola del Mezzogiorno. Le industrie hanno infatti svuotato i magazzini, dopo l’eccezionale aumento di domanda da parte delle famiglie convertitesi alla pizza con la “pummarola” fatta in casa, durante i mesi di clausura per il Covid. Così oggi l’industria chiede agli agricoltori uno sforzo di produzione maggiore, cosa che non avveniva da diverso tempo e che lascia ben sperare i produttori anche se le incognite non mancano. E del resto non potrebbe essere diversamente visto che parliamo di pomodoro, la coltivazione più soggetta alle oscillazioni del clima, dei mercati, dei consumi.

Diciamo subito che il prezzo soddisfa gli agricoltori, nonostante l’intesa nelle regioni del Centro-Sud sia stata in forse fino a qualche giorno fa. «Si è evitata la legge della giungla», commenta con una punta di sollievo la Cia Agricoltori. Ma forse era giusto attendere visto che i 105 euro a tonnellata per il tondo e 115 per il lungo sono tariffe molto più favorevoli rispetto agli 88 euro/tonnellata (solo tondo) strappati dalle imprese agricole del quadrilatero emiliano. Condizioni di mercato dunque favorevoli, gli agricoltori foggiani lo avevano intuito e difatti si sono lanciati in programmazioni colturali alquanto ardite considerato che siamo in piena emergenza idrica.

Le Organizzazioni di prodotto indicano in ogni caso un calo di superfici in Capitanata del 20-30%, ma non sono tanto le superfici il problema quanto la resa a ettaro data in ribasso di almeno il 10-15% rispetto all’anno scorso. In diga ci sarebbe a malapena l’acqua sufficiente per irrigare metà di tutto il pomodoro piantato (circa 20-22mila ettari). Il Consorzio di bonifica erogherà non più di mille metri cubi a ettaro, ne servirebbero almeno il doppio per portare avanti il raccolto. Oltretutto la gran parte dei trapianti c’è stata a fine maggio, dopo il superamento dell’emergenza sanitaria, per cui il grosso del pomodoro foggiano arriverà a maturazione a settembre quando l’acqua riservata all’irriguo potrebbe essersi già esaurita. «Si potrebbe ovviare con i pozzi, per chi ovviamente ne dispone – dice il presidente dell’organizzazione Apo Foggia, Giuseppe Grasso – ma trattandosi di una produzione concentrata nel medio-alto Tavoliere, parliamo di un’area quasi tutta dipendente dalla diga di Occhito. Speriamo che le rese non deludano: un anno fa abbiamo avuto una media di 90 tonnellate a ettaro, quest’anno ci accontenteremmo di raggiungere le 80 tonnellate».

L’incognita maggiore è legata alla disponibilità idrica, ma i produttori di pomodoro non si sono spaventati neppure di fronte all’avviso perentorio del presidente del Consorzio di bonifica, Giuseppe De Filippo: «Appena mille metri cubi a ettaro per l’irriguo». Ne servirebbero almeno 2mila per portare a termine la produzione, c’è un deficit di oltre mille metri cubi che gli agricoltori confidano di colmare, come detto, con i pozzi oppure con «un po’ di acqua in arrivo», confidando soprattutto sulle piogge estive di un’estate da qualche anno sempre più imprevedibile: le bombe d’acqua negli ultimi giorni sembrano dar loro ragione.

«Salutiamo l’accordo sul prezzo con cauta soddisfazione – osserva il presidente della Cia Agricoltori Michele Ferrandino – ci auguriamo che nell’immediato futuro si possa fare ancora meglio poiché i prezzi di produzione per il Mezzogiorno sono più elevati rispetto a quelli sostenuti nel nord Italia».

L’emergenza Covid avrebbe accentuato le difficoltà di reclutamento della manodopera, anche se il ritorno massiccio di extracomunitari nel nostro paese (favorito anche dal rinnovo dei permessi di soggiorno tramite sanatoria), permette oggi alle imprese di superare il problema emerso ad esempio per la raccolta degli asparagi. «Vero solo in parte – risponde Ferrandino – l’emergenza Covid-19 ha reso molto più difficili le condizioni lavorative, la ricerca e la disponibilità della manodopera, mentre i cambiamenti climatici con l’alternarsi di siccità e nubifragi ha elevato ai massimi livelli il rischio d’impresa e quello di perdere il raccolto in tutto o in parte».

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