“U Casscetille” (Fotogallery). A cura di Franco Rinaldi

Il papavero, pianta erbacea, denominato in loco  “ šcappe”  (si legge  skappe), appartiene alla famiglia delle Papaveracee. La  più comune, tra le dod

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Il papavero, pianta erbacea, denominato in loco  “ šcappe”  (si legge  skappe), appartiene alla famiglia delle Papaveracee. La  più comune, tra le dodici presenti in Italia, che cresce spontanea (considerata tra l’altro pianta infestante nei campi, in particolare nei seminativi di grano) è il rosolaccio (Papaver rhoeas). In Italia si trova anche allo stato spontaneo il Papaver somniferum varietà setigerum (che cresce nelle zone costiere e anche in alta montagna fino a 1500 metri di altezza.). Questa varietà di papavero,   che insieme al papaver rhoeas hanno basse percentuali di alcaloidi, cresce spontaneo in Abruzzo in particolare  in provincia dell’Aquila e di Chieti, quando le annate sono molto piovose. Invece, la coltivazione estensiva a scopo commerciale del  papavero da oppio (Papaver  somniferum)  in Italia è regolamentata. Tant’è che la coltura del papavero da oppio, che viene  utilizzata specialmente per   la produzione della morfina e degli oppiacei  a uso medico è soggetta  ad autorizzazione governativa, rilasciata annualmente dall’Alto Commissario per l’Igiene e Sanità Pubblica-(Legge n. 1041/54 –Disciplina del commercio, della produzione e dell’impiego di sostanze stupefacenti).

Il papavero da oppio,  fiorisce tra maggio e luglio.  I nostri contadini un tempo, coltivavano il papaver somniferum (poche piante) nel proprio l’orto per l’utilizzo delle capsule del fiore a scopo medicinale in famiglia. Anche le capsule del papavero Rosolaccio, ritenute moderatamente sedative e antispasmodiche, venivano utilizzate per produrre infusi e sciroppi per lenire la tosse, l’insonnia e l’eccitazione nervosa.  “U casscetille” l’infuso  preparato, dopo l’essiccazione  avvenuta delle capsule dei papaveri da oppio,  veniva  frequentemente  utilizzato  nel Meridione per scopo terapeutico. A Manfredonia, fino agli anni ’50, le  nostre mamme facevano  uso dell’oppio che provocava (a papàgne) la sonnolenza che veniva disciolto in bevande  e serviva per addormentare i bambini. La somministrazione dell’oppio un tempo, e non solo in loco,  nella cultura popolare contadina era  un mezzo curativo molto praticato. Le mamme, esercitavano tale terapia per i lattanti preparando “a pupatèlle” una sorta di succhiotto  (fatto con una pezzuola di lino  arrotolata), che  imbevuto nell’infuso preparato veniva dato al bambino per farlo addormentare. La tisana “u casscetille” preparata veniva  somministrata in piccole dosi  e con molto riguardo per evitare conseguenze talvolta tragiche per il poppante. Il sonnifero utilizzato dalle mamme a scopo sedativo, serviva per lenire le coliche intestinali, oppure veniva dato al lattante per calmarlo perchè “iove pecchjùse” piangeva spesso e non dormiva.

Va anche considerato che fino agli anni ’50-’60, moltissime famiglie  nel meridione, era composte da almeno 8-10 persone. Immaginate, quindi, la difficoltà delle povere mamme costrette  a cummàtte pe tanda creijòcce”  ad accudire tanti figli. L’infuso, veniva anche dato a piccoli bambini irrequieti “revattuse per tranquillizzarli, mentre i genitori lavoravano in campagna. Il papavero da oppio che si vendeva a mazzetti anche nelle “spezzjarije” farmacie locali. L’infuso veniva solitamente preparato dalla madre del bambino. A Manfredonia, era in voga un tempo  un modo di dire delle mamme, in particolare  nel periodo dello  svezzamento  quando  i poppanti erano alquanto   irrequieti, che così recitava: “Madònne, cume ja fè  pe stu uagnòne ca  chiange sembe, sacce si li deche nu poche de papagne”!.

I giochi di un tempo con il papavero

Ricordo, che noi ragazzi a Manfredonia, nel mese di maggio, praticavamo con i petali del papavero rosso comune denominato in loco ”šcappe” (si legge skappe)  raccolto nei campi, un gioco denominato  ”u  šcattille” (si legge skattille). Si metteva un petalo sulla mano sinistra chiusa a mò di imbuto e si batteva  con il palmo della mano destra  provocando “u šcattille”.  Un altro  gioco, sempre con i papaveri,  era quello di utilizzare le capsule dure del fiore che hanno sulla corona una sorta  di stimmi raggiati a forma di stella. Esercitando con le capsule, una piccola pressione   sul braccio o sul polso  oppure  sulla fronte  rimaneva   impressa  la forma di un fiore, una sorta di tatuaggio, che spariva dopo  poco tempo.  Va ricordato, che a Manfredonia “u šcattille” era anche un altro gioco che noi ragazzi facevamo pa lote” con il fango che prendevamo da terra per le strade dopo una giornata di pioggia e lo lanciavamo  sui muri delle case dove si attaccava provocando “u scattille”. Quest’ultimo  gioco, alquanto maldestro perché sporcavamo le mura di casa  “pa lote” provocava l’ira delle massaie  che abitavano nei pianoterra che uscivano immediatamente dall’abitazione  e sbraitando  con termini poco ortodossi ci inseguivano minacciose con una  scopa  che  spesso  ci  lanciavano dietro.

Notizie storiche sull’utilizzo dell’oppio nell’antichità

Gli antichi egizi utilizzavano l’oppio come calmante. Ippocrate, medico greco definito come “il padre della medicina moderna” nel IV sec. a.C. lo consigliava come rimedio per diverse malattie. In Italia e in Europa l’utilizzo dell’oppio cominciò a diffondersi  solo dopo la conquista di Roma della Grecia nel 146 a.C.

Galeno, il più grande medico dell’antichità, lo usava spesso per i sintomi di avvelenamento, per problemi di vista, cefalee, epilessia, sordità e lebbra. Si dice che abbia curato l’imperatore romano Marco Aurelio, fino a farlo diventare oppiomane.

FOTO TESTO A CURA DI FRANCO RINALDI

U IUCHE U SCATTILLE PU PAPAVERE
Papavero Rosolaccio in zona chiesa di Siponto-Ph.Franco Rinaldi

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