L’uva pugliese ricattata dai padroni dei brevetti

La «guerra» dell’uva è ormai prossima. Anzi, la «guerra» dell’uva in Puglia è già realtà. Il teatro d’azione è l’Antitrust, ma in campo le forze sono

Confindustria: cala il Pil, meno spazi di manovra, prospettive cupe
È ORA DI ANDARE…
Vandalizzato uno dei vasi porta rifiuti, posti sul Lungomare del Sole

La «guerra» dell’uva è ormai prossima. Anzi, la «guerra» dell’uva in Puglia è già realtà. Il teatro d’azione è l’Antitrust, ma in campo le forze sono impari: da un lato i titolari dei brevetti «apirene», la qualità senza semi, ormai regina del mercato globale, col loro portafoglio gonfio di profitti; dall’altra gli agricoltori con la loro terra, una licenza concessa per produrre quell’uva, restando competitivi e un ricorso sul quale si pronuncerà l’Autorità garante della concorrenza e del mercato. L’uva «apirene» si sta rivelando amara. I suoi tralci sono diventati spine dolorose nel fianco dei contadini: percentuali altissime dovute ai proprietari delle licenze in concessione; rischio esponenziale di vedersi addirittura sottratta la terra se si prova a tornare indietro nelle scelte, trasformandosi in «Anime morte», come i servi della gleba di Gogol’, nella contabilità crudele della globalizzazione.

Un gruppo di produttori pugliesi, capeggiati da Lorenzo Colucci, che opera nelle aree tra Rutigliano e Casamassima, ha presentato ricorso all’Autorità garante della concorrenza e del mercato. Si vuole sottrarre gli agricoltori alla morsa dei proprietari dei brevetti chiedendo una pronuncia all’Antitrust. La «battaglia» è in corso: una Vandea al contrario per garantire la libertà di produzione nella terra che offre più uva da sempre insieme alla Sicilia. La novità di questi giorni viene dalle associazioni di categoria. La Cia (Confederazione italiana agricoltori) avrebbe presentato, a sua volta, un ricorso al Garante per tutelare gli iscritti che versano in situazioni di difficoltà. La risposta dell’Autorità sarà decisiva pensando alle sorti della «guerra».

C’è chi allo scontro oppone il confronto. Cinzia Coduti, responsabile nazionale Ambiente e territorio di Coldiretti, ricorda: «Siamo di fronte alla necessità di bilanciare gli interessi. Da un lato ci sono le leggi nazionali e internazionali che prevedono il riconoscimento patrimoniale del diritto di brevetto per cui, se ho investito nelle ricerche e nell’innovazione, devo vedere i frutti dei miei sacrifici. Dall’altro c’è l’imprenditore agricolo che vuole utilizzare quella varietà d’uva e ha diritto ai ricavi della produzione. Se i costi – prosegue Coduti – sono elevati, il prezzo di vendita deve essere giusto, altrimenti è un disastro. Io credo che, con il recepimento della direttiva europea numero 633 dello scorso anno, entro maggio 2021 otterremo un equilibrio tra titolari dei brevetti e produttori, in nome di relazioni improntate alla lealtà e alla trasparenza: royalties per i primi, prezzi remunerativi per i secondi. Ricordiamo che prima della direttiva europea, ci sono già due riferimenti normativi, la legge numero 1 del 2012 e il decreto ministeriale 199 dello stesso anno che impediscono condotte commerciali sleali nei contratti che prevedono la cessione di prodotti agricoli.

«Prendiamo i cosiddetti “club”, per esempio, dove i produttori sono inclusi dai titolari dei brevetti. Bene prevedere percentuali per gli impianti e per il valore del prodotto, ma ci sono – spiega ancora Cinzia Coduti – club che permettono di utilizzare la varietà di uva “apirene” solo se sei dentro, altrimenti scatta la discriminazione». Di diverso avviso è Confagricoltura che, però, come Coldiretti, vuole evitare lo scontro frontale fra titolari delle licenze e produttori e crede esistano margini tali da giungere al «bilanciamento degli interessi» citato da Coduti e che il presidente regionale di Confagricoltura, Luca Lazzaro, chiama «andamento equilibrato dei rapporti». «I “club”? Ci sono esempi in Puglia che funzionano e sono arrivati ad acquisire il brevetto. Ripeto: serve equilibrio e adesso verifichiamo casi in cui manca. Mi preoccupa, però, il ritardo in termini di ricerca accumulato – prosegue Lazzaro – dalla nostra agricoltura. Imprenditori pugliesi dell’uva hanno costituito un consorzio orientato alla ricerca e all’innovazione. Hanno raggiunto intese col Crea, il Consiglio per la ricerca in agricoltura, il nostro Cnr. È la strada giusta, a mio avviso, per evitare la “guerra”. Poi abbiamo sollecitato il ministero delle Politiche agricole e sul tavolo ci sono diversi dossier. I parlamentari pugliesi conoscono bene la situazione».

Lazzaro chiede interventi perché i disequilibri cui fa cenno il presidente di Confagricoltura, in linea con la cautela espressa anche da Coldiretti, rischiano di riverberarsi sulle diverse posizioni assunte dalle associazioni di categoria, generando squilibri. Se Confagricoltura e Coldiretti battono le strade della mediazione, per l’evidente volontà di trovare una intesa fra titolari di brevetti e produttori (magari per la presenza delle due figure all’interno dell’associazione di categoria) e temendo contraccolpi in un quadro già delicato, la Cia va, come abbiamo detto, alla «guerra» rivolgendosi all’Antitrust. E la politica? «Attendo dal ministero alcune risposte prima di sollecitare il governo perché faccia passi decisivi verso la soluzione della vertenza», dice il deputato del Movimento 5 Stelle Giampaolo Cassese. Il parlamentare mostra cautela non tanto sul ricorso all’Antitrust quanto sulla gradualità degli interventi. A suo giudizio l’azione combinata tra ministero delle Politiche agricole e Autorità garante della concorrenza può frenare la spirale di scontro e «liberare» finalmente i produttori «perché i club, dove devono sottostare ai prezzi imposti dai titolari dei brevetti, li incastrano».

A invocare la politica usando però accenti drammatici è il leader dell’organizzazione degli agricoltori Tavolo verde, l’ex deputato Paolo Rubino: «Chiedo al Parlamento di intervenire perché nella vicenda dell’uva senza semi, l’uva “apirene”, gli agricoltori stanno diventando coloni ed è in corso una “controriforma” che toglie loro la proprietà della terra. Si stanno verificando gli stessi effetti della vendita dei terreni all’asta. Una volta che hai realizzato l’impianto nella vigna, di fatto non sei più il proprietario della terra. C’è stato un errore di valutazione delle istituzioni: il momento è serio, molto serio». Rubino sottolinea un passaggio: «Se smonti il tendone perdi il terreno. È l’esproprio della globalizzazione. Gli effetti sono esattamente contrari a quelli del Brasile. Lì il movimento dei “Senza terra” si è ripreso la terra occupandola. Qui le multinazionali cacciano gli agricoltori. Se riflettiamo è la stessa politica. Perciò bisogna lavorare in silenzio e incidere sui fatti, sulle cose».

Giuseppe Lorusso, agricoltore di Noicattaro trapiantato a Parabita, in provincia di Lecce, eserita l’antica pazienza contadina nelle parole: «Chi sta in campagna ha imparato dal tempo ad aspettare. I brevetti? La situazione, vero, non è facile, ma passerà. I brevetti scadranno ma soprattutto il mercato vivrà evoluzioni veloci. Sapete quante ne ho viste in oltre trent’anni di lavoro. Per me è una moda transitoria, una moda tutta inglese. Torneremo a scoprire la nostra uva, l’Uva Italia, le sue qualità, la sua resistenza al deperimento: da settembre a dicembre sta sulla pianta e sul mercato. E poi il seme è per il frutto un beneficio. I chicchi d’uva senza seme, in natura, sono piccoli. Noi avvertiamo i consumatori: guardate che per farla crescere si usa un fitormone, l’acido gibberellico. Per carità, tutto naturale, tutto regolare. Ma, sulle mode, val la pena riflettere».

COMMENTI

WORDPRESS: 0