Foggia, 10mila extracomunitari per il pomodoro: solo nei ghetti troviamo lavoro

Diecimila braccianti extracomunitari e non (in larga parte romeni e bulgari) sono pronti ad invadere come ogni anno la Capitanata per la raccolta del

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Diecimila braccianti extracomunitari e non (in larga parte romeni e bulgari) sono pronti ad invadere come ogni anno la Capitanata per la raccolta del pomodoro. A poco meno di due mesi dall’abituale afflusso di manodopera bracciantile per le campagne, c’è uno scenario nuovo nella Food valley foggiana: le ruspe inviate da Procura della Repubblica e Prefettura smantellano “chirurgicamente” il ghetto di borgo Mezzanone, una bidonville esistente da una decina di anni, insediatasi sulla vecchia pista dell’aeroporto militare. Il prossimo 2 maggio in Prefettura è convocato un nuovo vertice dal prefetto Massimo Mariani con gli enti locali e i sindacati sullo stato di avanzamento delle operazioni.

L’obiettivo è quello di bonificare il ghetto – ovvero di raderlo al suolo – entro l’estate in modo che i nuovi arrivati non trovino ospitalità tra le baracche. È un’azione mai come stavolta portata avanti con determinazione, quel che manca al momento è il tassello della Regione che non ha ancora provveduto all’attuazione del piano-foresterie, i moduli abitativi per accogliere i braccianti lavoratori migranti ormai indispensabili per le nostre campagne. Le foresterie dovrebbero sorgere a San Severo e in un’area fra Poggio Imperiale e Lesina, due suoli di proprietà regionale poichè è questa l’unica possibilità concessa alla Regione. I sindaci, infatti, non collaborano all’operazione “sgombera ghetti”, nessuno (a parte Miglio a San Severo e poche altre blande disponibilità) ha finora fornito il proprio sostegno all’accoglienza nel timore di ripercussioni politiche e soprattutto in cabina elettorale.

La caccia alle streghe contro il migrante continua. Persino in una provincia ormai quasi totalmente dipendente dal lavoro bracciantile di «importazione». Tutti ormai sono del parere – non soltanto gli agricoltori, anche il comune cittadino ne è consapevole – della indispensabile funzione svolta dai lavoratori migranti nelle nostre campagne. «Senza di loro – dicono convinti gli agricoltori – non ci sarebbero più braccianti». E l’ex presidente di Confagricoltura, Onofrio Giuliano, si è spinto oltre: «Almeno 25mila i braccianti locali iscritti alle liste dell’Inps, ditemi quando è possibile ingaggiarli perchè non se ne trovano mai».

Eppure alzi la mano chi vorrebbe un campo di accoglienza, sia pure regolato dalla Regione, adiacente al proprio uscio di casa. Non a caso la pista di borgo Mezzanone e l’ex Gran Ghetto (sgomberato nel marzo 2017 dalla Regione, ma riformatosi un centinaio di metri più in là), per non parlare della landa che ospita i bulgari e altri agglomerati minori, sorgono a distanza di sicurezza dai centri abitati. In terra di nessuno in una sterminata provincia grande quanto tutto il Molise.

Il lavoro dunque punto cruciale che solo i ghetti, a quanto pare, sembrano in grado di poter garantire. Le foresterie, circa centocinquanta posti letto ciascuna, avranno servizi e saranno regolamentate secondo l’esperimento già andato in porto a Nardò nel Leccese. Il problema è che non basteranno, ammesso che si riuscirà a farle, a offrire un’ospitalità dignitosa che a poche decine di persone. E poi c’è da trovare un posto ai braccianti oggi ospitati nelle baracche, già con preavviso di sfratto da parte delle autorità. La Regione ha offerto a questi lavoratori (molti con regolare permesso di soggiorno) alcuni alloggi nel centro di Torre Guiducci e nella masseria Fortore di Casa Sankara, alle porte di San Severo, un esperimento ancora troppo minuscolo di collettivizzazione per un centinaio di lavoratori migranti. Ma parliamo di fenomeni marginali, il nucleo della questione è il lavoro: buttando giù i ghetti, i migranti si ricostruirebbero altri giacigli di fortuna magari un po’ più in là perchè è qui che andrebbero a cercarli i caporali, il loro ufficio di collocamento.

Gli alloggi di Torre Guiducci, Casa Sankara e altri luoghi (compresi i futuri moduli) non rientrano nei circuiti del caporalato che tiene ben saldo il controllo del mercato bracciantile almeno fino a quando lo Stato non si deciderà anche qui di fare la faccia feroce, dopo aver consegnato per decenni l’intermediazione domanda-offerta a queste figure. Un problema noto, riemerso con forza dopo l’ultimo sgombero del mese scorso: su sessanta sfollati dalla pista di borgo Mezzanone, appena in tre hanno potuto scegliere le soluzioni più confortevoli proposte ancorchè controllate dall’ente pubblico. Gli altri si sono arrangiati come meglio hanno potuto; della serie “adda passà a nuttata”.

I sindacati hanno invitato Prefettura e Procura a non considerare i moduli abitativi la risposta, quantomeno non l’unica, allo smantellamento dei ghetti. I migranti vogliono «prima il lavoro», poi tutto il resto. E il lavoro oggi lo reclutano solo i caporali, il loro unico interfaccia riconosciuto. Mai decollate e comunque rivelatesi inefficaci, al momento, le liste di prenotazione per organizzare e regolamentare la manodopera legalmente nelle aziende agricole. Come sembra evaporato il confronto su questi temi all’interno della Rete per il lavoro agricolo di qualità che non si riunisce più da un pezzo. Si naviga a vista, l’unica cosa chiara è che il ghetto illegale di Mezzanone scomparirà. E il resto?

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