Il faro si spegne (ma solo alla città)

L’Epifania ogni festa porta via, recita un detto popolare. Vero. Tanto vero che si è portato via anche il raggio di luce del faro che svetta sul molo

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L’Epifania ogni festa porta via, recita un detto popolare. Vero. Tanto vero che si è portato via anche il raggio di luce del faro che svetta sul molo di levante, appena dopo il varco d’ingresso riacceso per l’appunto per le festività natalizie. Quello sprazzo di luce che a brevi intervalli si posava sulla città quasi fosse una carezza, dal 1999 è stato oscurato con pannelli posticci. In prossimità delle ferie natalizie, l’otto dicembre scorso, ricorrenza dell’Immacolata concezione, è stato liberato con largo clamore e grandi feste. Giustamente. Era oramai da tre lustri che quella lanterna posizionata sulla sommità della torre a venti metri di altezza, per tanti versi uno dei simboli identitari della città che re Manfredi volle adagiata sulle rive del golfo, non rivolgeva più i suoi rassicuranti bagliori all’abitato che si distende intorno. Un ripudio unilaterale non sorretto da giustificate ragioni, se ragioni possono considerarsi i “fastidi” accampati da qualcuno per via di quei bagliori. Ancora una volta il “particulare” è prevalso sul generale.
La pur timida e breve parentesi che ha restituito la piena funzionalità e completa dignità a quel faro parte integrante e rappresentativa di una comunità a tradizione marinara, si è riverberata sulla città e sulla popolazione che ha accolto la “novità” con grande entusiasmo e afflato marinaresco come a richiamare le sue radici culturali. Non a caso ad attirare l’attenzione pubblica su quel monumento e ad evidenziarne i valori culturali, è stata l’associazione cittadina “Arco in Arco Boccolicchio” presieduta da Bruno Mondelli, che ha quale mission quella della riscoperta delle “particolarità” trascurate, architettoniche e dunque storiche, della città anche con finalità turistiche. E d’altra parte i discorsi dei maggiorenti istituzionali del territorio radunati per l’occasione, che sono seguiti al taglio del nastro tricolore inaugurante “il raggio di luce sulla città”, sono stati evidenziati i richiami simbolici che quel faro conserva ed esprime. <Il riorientamento della luce del faro verso la città – evidenziò il sindaco Angelo Riccardi – vuol essere un modo per ridare al territorio quella luminosità non solo simbolica che spinga al rinnovato vigore e ribadita speranza per un territorio voglioso di riprendere la strada del progresso e dello sviluppo>.
Un beneaugurante proposito che la gente ha fatto proprio innescando in modo massiccio ed entusiasta, un vero pellegrinaggio a quella lanterna che finalmente poteva essere vista e toccata dal di dentro grazie alla disponibilità del gestore Ottavio Greco e l’organizzazione di “Arco in Arco”. Una festa finita? Il “vigore”, la “speranza”, il “progresso”, lo “sviluppo” sono rientrati nell’oscurità ricreata dai pannelli riposizionati dinanzi a quella fonte di luce per interromperne il flusso?
Se per la pur temporanea “accensione del raggio di luce” fu inscenata una festa completa di danze e libagioni, il suo spegnimento è interpretato come un sia pur simbolico funerale. Quella lanterna è tornata a dialogare solo col mare e coi naviganti che ne apprezzano la presenza. La città è invece tornata ad essere privata di quella luce messaggera di speranza. Senza quel raggio di luce che fende l’oscurità della notte e ispeziona il retroterra, Manfredonia ha come perso un confidente, un riferimento “illuminante”, un affascinante e suggestivo valore aggiunto.
Michele Apolloniio

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