Da Lucera e Manfredonia quanti problemi per Emiliano

Alla vigilia di Natale l’intesa era stata raggiunta. Ma raccontano che due giorni prima di Santo Stefano, a far saltare tutto sia stato il destino del

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Alla vigilia di Natale l’intesa era stata raggiunta. Ma raccontano che due giorni prima di Santo Stefano, a far saltare tutto sia stato il destino della psichiatria di Manfredonia. Un reparto, un solo piccolo reparto ha messo in crisi il riordino targato Michele Emiliano. Riordino che, a dispetto delle rassicurazioni, slitta ora almeno a febbraio. Perché il ministero della salute, cui la Regione dopo le ferie invierà la bozza del piano, certamente non risponderà a stretto giro di mail.

Il problema è che l’accordo tecnico, basato sui numeri, è stato stoppato dalle ragioni della politica. Emiliano in questa fase ha preferito non scontettare nessuno. Ai destini dell’ospedale di Manfredonia si è molto interessato il deputato dem Michele Bordo, la cui moglie – per coincidenza – lavora lì. Eppure le relazioni allegate al piano su cui ha lavorato il capo dipartimento Giovanni Gorgoni parlano chiaro. L’ospedale sipontino – che i tecnici vorrebbero depotenziare, pur non arrivando alla chiusura – ha un’occupazione media pari a 76 pazienti, inferiore al 50% dei posti letto, ed un tasso di inappropriatezza pari al 45%: vuol dire che metà dei pazienti non andavano ricoverati. C’è un reparto di pediatria che effettua zero ricoveri l’anno: trasformarlo in ambulatorio, dunque, è tutt’altro che una scelta insensata. La famosa psichiatria va chiusa perché Manfredonia non ha la rianimazione: lasciarla lì vuol dire violare la legge. Stesso discorso per la gastroenterologia, attivabile solo negli ospedali di primo livello: quello sipontino non lo è.

È solo un esempio, che fornisce però la cifra dei problemi sul tappeto. Problemi politici, appunto. Come quello che riguarda Lucera, il cui ospedale ha un problema insormontabile: è troppo vicino ai «Riuniti» di Foggia (6 minuti di strada statale) per avere un qualunque senso. I tecnici hanno infatti proposto di eliminarlo del tutto, riconvertendo la struttura a lungodegenza e riabilitazione. Tuttavia, nel novembre 2014, il presidente Emiliano aveva pubblicamente firmato una petizione per scongiurarne la chiusura. E adesso il territorio lo chiama a mantenersi coerente con quello che fu percepito come un impegno solenne.

Va detto che i piccoli ospedali costano dagli 8 ai 12 milioni l’uno, e che a Foggia la sanità è numericamente disastrosa. Sia per l’inappropriatezza (quasi doppia rispetto al resto della Puglia), sia perché i posti letto sono al 4,1 per mille abitanti contro una media del 3,4 per mille. Ma scendendo in Salento la situazione non cambia. Qui il nodo del piano sono i punti nascita di Gallipoli e Casarano, la cui chiusura era già prevista ma su cui anche Vendola nel 2012 si mostrò debole. Casarano fa 487 parti l’anno, Gallipoli 331, mentre il livello minimo ministeriale è 500. I dati della Regione dicono che le gestanti residenti in quella zona preferiscono il «Panico» di Tricase. Ma ai politici locali, che hanno alzato le barricate, interessa evidentemente mantenere il consenso di medici ed operatori.

Lo stesso discorso vale a Foggia con la cardiochirurgia. San Giovanni Rotondo sarebbe in grado di partire in poche settimane, ed essendo un ente ecclesiastico peserebbe sui conti della Regione soltanto per i «drg» (il costo a listino degli interventi). Invece con ogni probabilità la cardiochirurgia finirà ai «Riuniti» per assecondare le pressioni dell’Università. E questo nonostante (o forse proprio perché) l’attivazione del reparto necessiterà di assunzioni e attrezzature: non meno di 3 milioni di euro l’anno da qui all’eternità.

Nessuno considera che già oggi in Puglia 3-400 posti letto restano sulla carta perché non ci sono i soldi necessari ad assumere il personale. Il piano su cui Emiliano lavora ridisegnerà la sanità pugliese almeno per il prossimo decennio, perché difficilmente sarà possibile tornare indietro. Tutti i reparti doppione che non verranno cancellati oggi, rimarranno come un peso morto e impediranno di sviluppare la rete dove ce ne sarebbe bisogno (vedi l’oncologia a Taranto). Ragionamenti che ora la Regione vuol condividere con il ministero: ma da Roma, con ogni probabilità, Emiliano potrà ottenere soltanto un po’ di tempo in più ma non certo deroghe alle linee guida: ne sanno qualcosa nelle Marche, dove l’applicazione del Dm 70 ha prodotto un piano lacrime e sangue.

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