La festa del lavoro sottopagato, al Sud si guadagna il 28% in meno

Più che Festa dei lavoratori, dovremmo chiamarlo il Primo maggio dei sottopagati o working poor, di chi, nonostante uno stipendio, non riesce ad a

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Più che Festa dei lavoratori, dovremmo chiamarlo il Primo maggio dei sottopagati o working poor, di chi, nonostante uno stipendio, non riesce ad arrivare a fine mese. Il tema dei salari è entrato finalmente nell’agenda politica. Tanto da diventare materia di scontro tra il ministro del Lavoro Andrea Orlando e gli industriali. Ma un dato deve far riflettere alla vigilia della celebrazione di una data simbolica che «chi lavora nel Mezzogiorno guadagna il 28% in meno di chi risiede nel Nord-Ovest». Lo dice il Rapporto Censis-Ugl «Tra nuove disuguaglianze e lavoro che cambia: quel che attende i lavoratori», presentato ieri a Roma. Per il 64,3% dei lavoratori la propria retribuzione non è adeguata al costo della vita. Il 10,4% dei lavoratori dipendenti è sottopagato. Il 19,8% è impiegato part-time, mentre lavora in remote il 52% degli occupati. Il 65,9% richiede formazione per la sicurezza informatica. E poi quel dato che inchioda tutti alla realtà: nel Mezzogiorno di fatto già esistono le gabbie salariali.

Il divario

«C’è un divario Nord-Sud molto consistente che dipende prevalentemente dalla composizione del lavoro — commenta il direttore della Svimez, Luca Bianchi — Più occupati nelle microimprese e con meno valore aggiunto. Oltre al fatto che si ha meno contrattazione integrativa. Questo conferma quanto siano inutili le battaglie sulla reintroduzione delle gabbie salariali, di fatto già ci sono». I salari sono stabili da anni, «ma in termini reali con un’inflazione crescente si ha una perdita del potere d’acquisto. Questo significa che i working poor tenderanno a crescere. Se non si interviene, se l’inflazione da crisi energetica non viene compensata», ancora Bianchi. Dal rapporto Censis emergono alcune delle contraddizioni più evidenti del lavoro: dalle retribuzioni alle tutele. Per esempio il mercato del lavoro è sempre più ostico per giovani, donne, migranti e lavoratori meno qualificati. Da un lato le nuove opportunità legate al remote working e al digitale, dall’altro la precarietà che diventa condizione strutturale di lungo periodo. Per il 93,3% degli occupati serve più attenzione per le condizioni dei lavoratori, mentre per il 64,9% dei giovani il lavoro è solo un mezzo per avere reddito da spendere in attività diverse.

Working poor

Per il 64,3% dei lavoratori (68,8% tra operai ed esecutivi) la propria retribuzione non è adeguata al costo della vita. Del resto, nel 2010-2020 le retribuzioni lorde dei lavoratori italiani sono diminuite dell’8,3% reale e peggio dell’Italia hanno fatto solo Grecia (-16,1% reale) e Spagna (-8,6% reale). I giovani fino a 29 anni guadagnano il 40% in meno dei lavoratori over 55, mentre le donne il 37% in meno dei maschi. Chi ha un contratto a tempo determinato il 32% in meno di chi è a tempo indeterminato. Il 10,4% dei lavoratori dipendenti, poi, è sottopagato, cioè può contare su una retribuzione mensile inferiore ai valori soglia di 953 euro per il full-time, di 533 euro per il part-time. Negli anni c’è stato un boom del part-time, che interessa il 19,8% dei lavoratori (era il 15,8% nel 2010). Sono in part-time involontario, cioè non desiderato, il 74,2% degli uomini (era il 59,3% nel 2010), il 61,1% delle donne (46,1% nel 2010). Lavora in remote il 52% degli occupati. Nella web economy, con la crescita del delivery tra i consumatori, oltre 570mila persone tra il 2020 ed il 2021 hanno ottenuto reddito tramite piattaforme, ad esempio consegnando beni a domicilio.

La formazione

La formazione è considerata essenziale dai lavoratori per fronteggiare le disparità crescenti: il 67,8% degli occupati teme nuove e più ampie disuguaglianze a causa della diversità di competenze digitali. Inoltre, l’84% dei lavoratori vuole supporto su aspetti specifici del proprio lavoro, dalle competenze alle tecnologie utilizzate. Infine, il 65,9% richiede formazione per la sicurezza informatica. «Credo ci sia troppo opinionismo generico sul lavoro e il suo futuro, e invece una riflessione adeguata ha bisogno della serietà e del rigore di ricerche come questa», spiega il presidente del Censis Giuseppe De Rita. «Occorre subito invertire la rotta», dice Paolo Capone, segretario generale dell’Ugl: «Il lavoro deve tornare a svolgere il suo ruolo di realizzazione personale e sociale e, soprattutto nei momenti di crisi, sostenuto con un welfare dignitoso».

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