Cosa si vota - Gli elettori italiani che abbiano compiuto il 18esimo anno di età sono chiamati a rispondere SÌ o No al quesito che riportiamo integra
Cosa si vota – Gli elettori italiani che abbiano compiuto il 18esimo anno di età sono chiamati a rispondere SÌ o No al quesito che riportiamo integralmente nel facsimile della scheda elettorale pubblicata qui accanto. In sostanza bisogna esprimere il proprio assenso o dissenso alla cancellazione di una norma inserita dal governo nell’ultima legge di stabilità grazie alla quale si consente alle aziende titolari delle autorizzazione la prosecuzione dell’attività di estrazione di petrolio e gas naturale, già in corso entro le 12 miglia dalle coste italiane, non più fino al termine della concessione trentennale ma fino all’esaurimento naturale dei giacimenti. Chi vota SÍ, dunque, si dice favorevole a cancellare la norma. Chi vota No ritiene che la norma possa continuare ad avere effetto.
Il voto è valido se – Secondo la Costituzione italiana, perché il referendum abrogativo possa dirsi valido occorre che vada alle urne almeno il 50%+1 degli elettori aventi diritto. Posto che gli elettori sono 46 milioni 887mila 362, servirà contare nelle urne almeno 23 milioni 443mila 782 schede valide. Nel caso non si raggiunga il quorum, così come auspica il partito dell’astensionismo capeggiato dal presidente del Consiglio, Matteo Renzi, si procederà comunque allo spoglio, ma non vincerà nessuno perché il referendum non potrà considerarsi valido.
Se vince il Sí – La cancellazione della norma introdotta dal governo non significa che dal giorno dopo l’esito del voto le trivelle già presenti al largo delle coste italiane, nella fascia vietata delle 12 miglie al largo, termineranno di estrarre petrolio e gas. Continueranno a operare fino a che non spirerà il termine dei 30 anni di concessione ma allora dovranno essere smantellate anche qualora il giacimento non sia esaurito.
Se vince il no – La norma introdotta dal governo Renzi resterà vigente e, anche nella fascia delle 12 miglia dove non sarà più possibile emettere nuove autorizzazioni, le concessioni in essere risulteranno automaticamente prorogate oltre il loro limite trentennale, fino all’esaurimento dei giacimenti.
Perché il referendum – Era stato il governo Berlusconi a inasprire il divieto assoluto all’autorizzazione di nuove attività estrattive in mare entro le 12 miglia dalle coste italiane. Poi, nel 2012, il governo Monti aveva limato questo obbligo riducendo la fascia di rispetto a 5 miglia. È stato sostanzialmente solo l’ultimo episodio di una diatriba tra amministrazione centrale ed enti locali, che prendeva le mosse dalla richiesta delle Regioni di poter continuare ad esprimersi, sia pure con pareri non vincolanti, sugli interventi riguardanti il capitolo energetico. Tale parere, considerato un passaggio di appesantimento delle procedure autorizzative, era invece stato cancellato dalla Legge di stabilità con il cosiddetto decreto Sblocca Italia. Ne è scaturita la battaglia delle Regioni a difesa del mare, del paesaggio e della vocazione turistica dei territori. Dieci Consigli regionali italiani (poi diventati 9 dopo la marcia indietro dell’Abruzzo), con capofila la regione Basilicata e con la Puglia, hanno promosso sei referendum. I problemi posti da 5 di questi, compreso il quesito sulla reintroduzione del divieto di nuove autorizzazioni entro le 12 miglia, la Corte di Cassazione ha ritenuto potessero ritenersi risolti, dichiarando inammissibili i referendum, a dicembre 2015, quando il governo Renzi è intervenuto per legge, recependo le richieste delle Regioni. Non così per la sesta questione riguardante, appunto, la proroga automatica delle concessioni già esistenti, nella suddetta fascia costiera di 12 miglia, fino all’esaurimento dei giacimenti.
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