SCUOLA/ PUGLIA IN GINOCCHIO CON LO SPOPOLAMENTO: NEI PROSSIMI 10 ANNI PERDERÀ QUARANTAMILA STUDENTI

La tendenza di tutto il Paese, che da qui al 20235 perderà più di mezzo milioni di studenti tra i 6 e i 10 anni. In Puglia la perdita è stimata in

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La tendenza di tutto il Paese, che da qui al 20235 perderà più di mezzo milioni di studenti tra i 6 e i 10 anni. In Puglia la perdita è stimata in 37.363 bambini che mancheranno dalla scuola primaria.Nei prossimi dieci anni il Mezzogiorno è chiamato a una grande sfida. Se non riuscirà ad arrestare lo spopolamento delle sue regioni, deve quanto meno tentare di frenarlo. Un dato è esplicito e fissa la realtà del fenomeno in atto ormai da anni: da oggi fino al 2035 la scuola primaria perderà in Italia oltre mezzo milione di bambini dai 6 ai 10 anni. Di questi oltre 200 mila spariranno dalle aule del Sud e la Puglia pagherà uno scotto del 23,3 per cento, pari a 37.364 scolari in meno nelle scuole elementari. L’anno scolastico appena partito conferma il trend proiettato al decennio: nella scuola primaria pugliese si contano 1536 alunni in meno rispetto all’anno scorso. Allargando lo sguardo a ogni livello di istruzione la Puglia registra, da un anno all’altro, un saldo negativo complessivo nelle iscrizioni al primo anno di 7.864 studenti. La provincia di Bari subisce la flessione più netta con 2.076 studenti in me no, seguita da Lecce (-1.638), Foggia (-1.282), Brindisi (-1.063), Taranto (-954) e Bat (-851). Per quanto riguarda la scuola primaria peggio della Puglia si troveranno solo Sardegna (-35%) e Abruzzo (-25.8), le altre avranno uguali perdite o poco inferiori. Il problema è comunque generale e riguarda tutta la scuola primaria in Italia. Le statistiche sono state fornite ieri durante il workshop «Spopolamento, migrazioni e genere» promosso da Fondazione Giacomo Brodolini e Svimez, con il supporto di Save the Children e la partecipazione del W20. Al centro della discussione le dinamiche di spopolamento delle aree interne, le migrazioni e le differenze di genere, con particolare attenzione al ruolo delle politiche pubbliche, del lavoro e dei servizi. I problemi da affrontare per arginare la fuga dei ragazzi dall’Italia e da ogni singola regione sono tanti e sono emersi proprio dai numeri diffusi durante i lavori. Esistono possibili soluzioni, secondo Svimez, rendendo attrattivi i territori e valorizzando di più i giovani, garantendo loro stipendi migliori per trattenerli.  Mentre Save the Children ha posto l’accento sul fatto che troppi adolescenti sono rassegnati a partire mentre è necessario ricostruire fiducia e creare opportunità concrete. I dati statistici descrivono la realtà italiana.Nel periodo 2014-2024 l’Italia ha perso 1,4 milioni di abitanti, con un calo demografico che colpisce soprattutto il Mezzogiorno (-918 mila persone). A pesare è il saldo naturale negativo (–3,8%), solo in parte compensato dai flussi migratori (+1,5%). A crescere restano poche eccezioni come Bolzano, Trento, Emilia-Romagna e Lombardia. Restringendo il periodo al quinquennio 2019 e il 2023 è stato calcolato che sono 88 mila i giovani dai 25 ai 34 anni in possesso di una laurea che hanno lasciato la propria terra, a fronte di circa 77 mila giovani laureati stranieri che hanno trasferito la loro residenza in Italia. Al Sud il quadro demografico peggiora ulteriormente per effetto dei saldi negativi della mobilità interna: solo nel 2024, dei circa 52 mila meridionali trasferiti al Centro-Nord, oltre il 55% ha tra i 25 e i 34 anni. Una tendenza aggravata da un mercato del lavoro che offre poche prospettive ai giovani e da un minore afflusso di migranti, con conseguente indebolimento del ricambio generazionale. Restano più bassi, rispetto ai paesi dell’Unione europea e al dato medio italiano, sia il tasso di occupazione sia gli stipendi medi.

Secondo Serenella Caravella, di Svimez, «la chiave è ribaltare la narrazione: l’inclusione e l’accoglienza possono ridurre l’emigrazione, attrarre nuove famiglie e spezzare il circolo vizioso tra spopolamento e rarefazione dei servizi. Coesione sociale, economica e territoriale – insieme alle transizioni verde e digitale – devono restare al centro delle politiche nazionali ed europee».

 Il tasso di occupazione femminile ci pone all’ultimo posto in Europa, ha sottolineato Linda Laura Sabbadini, delegata del “Woman 20”, mentre Manuelita Mancini, direttrice Fondazione Giacomo Brodolini ha sostenuto che «Le donne migranti e non, i bambini e le bambine sono la leva principale dello sviluppo dei territori per la loro rigenerazione e per rafforzare il tessuto sociale, ma questo non può realizzarsi senza politiche che puntino al miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro dei territori».

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