Puglia, mafie nell’economia: è allarme per il riciclaggio

Non hanno abbandonato le armi, almeno non del tutto. Ma continuano nell’attività di infiltrazione dell’economia legale, concentrandosi su alcuni setto

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Non hanno abbandonato le armi, almeno non del tutto. Ma continuano nell’attività di infiltrazione dell’economia legale, concentrandosi su alcuni settori in cui esiste un vero e proprio allarme per la presenza di denaro di provenienza illecita. Le mafie pugliesi indossano la cravatta: alla gestione dei traffici di stupefacenti con i clan albanesi e alla «elevata conflittualità interna», sintomo di una situazione «ancora fluida» negli equilibri criminali, affiancano attività in chiaro in cui confluiscono enormi quantità di capitali.

Ristorazione, edilizia, ricevitorie, scommesse e sale giochi sono i business più gettonati secondo la Finanza, che già nel corso del 2017 aveva denunciato 277 persone per reati associativi di competenza delle Direzioni distrettuali antimafia. A questo si aggiunge l’allarme per il flusso dei capitali: nel primo semestre 2018, la Dia ha censito 185 denunce per riciclaggio e 2.300 segnalazioni per operazioni sospette collegate direttamente con reati di tipo mafioso oppure con i cosiddetti reati spia, in gran parte provenienti dalle banche. Si tratta del reimpiego di denaro proveniente dalle attività criminali che viene reinvestito nell’economia legale, ad esempio attraverso bonifici o versamenti di grosse quantità di contanti. Con effetti ben prevedibili.
Negli ultimi 12 mesi, annota proprio la Dia nella sua relazione, sono state numerose le operazioni che hanno portato a far emergere i contatti tra i clan e l’economia legale in ogni settore. A partire dall’agricoltura, con il ben noto fenomeno del caporalato, soprattutto nel Foggiano: «Oltre a favorire le finalità dei gruppi criminali che si occupano del trasporto dall’estero e dell’ingresso clandestino in Italia di immigrati, ha contribuito alla formazione di sacche sociali di stranieri completamente sconosciuti alle istituzioni locali e nazionali, gestiti senza scrupoli dalla criminalità del posto». Ma anche in quello delle energie rinnovabili, un business che in Puglia è solo apparentemente in fase calante: a Brindisi è stata arrestata la compagna di un boss del clan Buccarella della Scu, «condannata per il ruolo ricoperto nell’organizzazione e per le attività estorsive perpetrate ai danni delle aziende attive nell’affaire fotovoltaico sviluppato in quella provincia». Resta sempre sotto i riflettori il settore dei rifiuti, che ha consentito l’accumulo di grandi fortune e che è oggetto di numerosi approfondimenti in corso da parte della Dda di Bari.

Lo scorso anno, a Foggia, è stata eseguita la confisca dei beni ai danni di un imprenditore agricolo, condannato nell’ambito dell’operazione «Black Land», che «aveva assunto il ruolo di figura apicale all’interno di un’associazione per delinquere finalizzata allo smaltimento di ingenti quantitativi di rifiuti speciali» e che «attraverso le imprese di cui era amministratore, concorreva nel traffico illecito, occupandosi della direzione, del coordinamento, del trasporto e dello smaltimento illecito, sbaragliando facilmente la concorrenza ed offrendo così ai centri di stoccaggio prezzi “stracciati” per il trasporto ed il recupero/smaltimento per i rifiuti. Gli ingenti quantitativi di rifiuti speciali erano conferiti da ditte campane e venivano smaltiti nelle province di Foggia, Barletta, Andria, Trani, Benevento e Potenza».
Oltre all’azione incisiva dei clan, esistono anche ragioni strutturali che rendono particolarmente permeabile il tessuto imprenditoriale pugliese. Vanno ricercate in una certa «polverizzazione» economica, con le ditte individuali che rappresentano il 65% del totale delle imprese attive, in particolare nel settore commerciale. Sono attività che aprono e spariscono in un batter d’occhio.

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