Resort a Mattinata, non ci fù abuso edilizio

«Il fatto non sussiste»: nessun abuso edilizio, nessuno «scempio», nessun ecomostro per il resort «Il Porto», il villaggio turistico costruito a Ma

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«Il fatto non sussiste»: nessun abuso edilizio, nessuno «scempio», nessun ecomostro per il resort «Il Porto», il villaggio turistico costruito a Mattinata. Così nei giorni scorsi i giudici della seconda sezione penale del Tribunale di Foggia, assolvendo i 6 imputati accusati a vario titolo di violazioni in materia edilizia e paesaggistica e abuso in atti d’ufficio, hanno posto il primo sigillo giudiziario sull’inchiesta giudiziaria relativa alla costruzione del resort che – dice l’accusa – sarebbe avvenuta non rispettando l’iniziale permesso rilasciato dal Comune, stravolgendo il progetto iniziale e distruggendo il paesaggio. Inchiesta contrassegnata nell’ottobre del 2012 dal sequestro della struttura alberghiera, poi annullato nel febbraio successivo dalla Corte di Cassazione.

I SEI IMPUTATI – Assolti Eliseo Antonio Zanasi, 69 anni, uno dei più noti costruttori foggiani, già presidente di Confindustria e Camera di commercio di Foggia, coinvolto nell’inchiesta quale direttore tecnico della società «Zanasi & Moschella» che eseguì i lavori; Francesco Paolo Moschella, 50 anni, foggiano, amministratore unico della società «Il porto», proprietaria delle aree situate in agro di Mattinata dove fu costruito il resort, oltre ad essere il legale rappresentante della società «Zanasi & Moschella»; il fratello Federico Emilio Moschella, 55 anni, foggiano, direttore dei lavori; Matteo Michele Piemontese, 65 anni di Mattinata, responsabile pro tempore dell’ufficio tecnico di Mattinata; Giuseppe Tomaiuolo, 50 anni, di Mattinata, coinvolto quale responsabile dell’ufficio tecnico del comune garganico; Giovanna Pacilio, 65 anni, di Bari, funzionario archeologo della sovrintendenza dei beni archeologici di Taranto.
Il pm chiedeva 4 condanne Il pubblico ministero al termine della requisitoria aveva chiesto l’assoluzione di Tomaiuolo e della Pacilio, la condanna a 2 anni di Piemontese e quella ad un anno e 8 mesi di Zanasi e dei fratelli Moschella. Gli avvocati Raul Pellegrini, Francesco Santangelo, Vincenzo Muscatiello, Pasquale Medina, Franco Gaetano Scoca, Antonio Albanese chiedevano l’assoluzione rimarcando come tutto fosse stato costruito rispettando leggi e ambiente; e ponendo l’accento sul fatto che già la Cassazione nel 2013 nel dissequestrare il villaggio-turistico, aveva posto un punto fermo sull’inchiesta. Le motivazioni della sentenza saranno depositate entro tre mesi.

L’ATTO DI ACCUSA – Ai 5 imputati la Procura contestava di aver costruito «in totale difformità del permesso a costruire» (rilasciato dal Comune nel 2005) «ed in assenza dei titoli autorizzativi un terrazzamento, su cui era stata posizionata una piscina; la relativa piscina realizzata sul terrazzamento piuttosto che nel punto previsto originariamente dal progetto»; ed altri «terrazzamenti e manufatti edilizi». Con questi lavori ritenuti abusivi si era modificata – dice la Procura, ma i giudici di primo grado non sono stati d’accordo – la strada d’accesso al villaggio turistico; erano state create aree di manovra non previste; il centro servizi era stato realizzato come unico corpo di fabbrica e non in tre corpi distinti; erano state invase aree di proprietà privata; erano state create nuove strade pedonali e ulteriori parcheggi non previsti. Si contestava inoltre ai cinque imputati di aver eseguito lavori su un «bene paesaggistico senza la prescritta autorizzazione dell’ente preposto alla tutela del vincolo»; e si erano «distrutte o comunque alterate le bellezze naturali dei luoghi soggetti a speciale protezione, in quanto ricadenti nel parco nazionale del Gargano e quindi sottoposti a vincoli paesaggistici, archeologici, sismici e idrogeologici» concludeva il capo d’imputazione. Ai due soli tecnici comunali si contestava l’abuso in atti d’ufficio per i permessi a costruire rilasciati nel febbraio e marzo 2010 a favore della società «Il porto». I fatti contestati vanno dal 2010 al 2012.

SEQUESTRO E DISSEQUESTRO – Furono i carabinieri del Noe (nucleo operativo ecologico) di Bari ed i colleghi della sezione di polizia giudiziaria del Tribunale di Foggia ad eseguire il 10 ottobre 2012 il decreto di sequestro preventivo del resort, firmato dal gip su richiesta della Procura. Nella nota stampa gli investigatori parlarono di struttura del valore di 24 milioni di euro estesa su 70mila metri quadri in contrada «Principe»; e carabinieri sostennero che «lo stupendo belvedere di Mattinata era stato deturpato da una struttura turistico-alberghiera vastissima nell’estensione: sventrando il monte su cui è stata costruita, è stata completamente modificata l’orografia del territorio estirpato». Al momento del sequestro scattato 4 anni fa, l’albergo era stato inaugurato da qualche mese. Il 14 febbraio del 2013 un primo punto importante la difesa lo ottenne davanti alla Corte di Cassazione che annullò il provvedimento di sequestro.

«MA QUALE ECOMOSTRO» – «Nell’eseguire i lavori non ci fu nessuna difformità» commenta l’avv. Pellegrini difensore di Zanasi e dei Moschella «in quanto quelle minimali variazioni, bene ricordare che si parla di mezzo metro, erano necessarie e comunque consentite dal titolo edilizio rilasciato dal Comune di Mattinata, che prescriveva soltanto una armonizzazione rispettosa del paesaggio e della natura dei beni del complesso edilizio: le dirò che la zona è molto più nello adesso di prima. Il problema non è quello di non costruire, ma di costruire in armonia con l’ambiente e il paesaggio senza deturparlo, ed è quanto successo per “Il porto”. Voglio ricordare che la Cassazione, nel dissequestrare la struttura, disse che non ci capiva quale fosse la fattispecie di reato contestato».

IL TECNICO ASSOLTO – Soddisfatto del verdetto anche l’avv. Santangelo difensore di Piemontese. «Il mio assistito» commenta il legale «all’epoca dei fatti era un geometra del Comune: c’era stato nel 2005 il permesso a costruire numero 68 rilasciato dal Comune quando Piemontese non era in servizio all’ufficio tecnico. Si è trovato coinvolto nell’inchiesta perché nel 2010, quale responsabile pro-tempore dell’ufficio tecnico, rilasciò due permessi per la sistemazione dell’aree verdi e il ripristino delle strade interne. Questi due permessi, come è emerso dal processo, non hanno mai aumentato la volumetria del resort di nemmeno un metro quadro; peraltro si trattò di permessi rilasciati in linea con quanto attestato dalla sovrintendenza ai beni paesaggistici, con il parere del 2005 rilasciato dopo una conferenza di sevizi. La sentenza di assoluzione perché il fatto non sussiste ha ridato dignità a una persona che nel suo lavoro al Comune si è sempre distinta per essere ligia al proprio dovere».

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