Magno: “Mio padre e l’Enichem, solo macchina del fango”

Gentile Direttore, siccome continua a girare, anche sul Suo giornale web, una vera e propria calunnia riguardante mio padre, senza ch’egli abbia più l

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Gentile Direttore,

siccome continua a girare, anche sul Suo giornale web, una vera e propria calunnia riguardante mio padre, senza ch’egli abbia più la possibilità di rispondere, riferita oltretutto a questioni lontane quasi mezzo secolo e rese nell’inutile tentativo di screditare la lotta, da me portata avanti ormai da decenni, in difesa dell’ambiente e della moralità pubblica, ritengo mi corra l’obbligo di ristabilire la verità.

Ho aspettato paziente che fosse il PD a farlo, che deve gran parte della sua storia e del suo onore all’impegno ed alla figura di mio padre, stante anche il fatto che in quel partito militano ancora un ex assessore, il figlio di un sindaco ed altri, che condivisero con mio padre tutta la politica del Partito Comunista di allora. Ma essi, per bassi interessi di bottega, non hanno speso una parola per ristabilire la verità. Perciò, adesso spetta a me farlo.

Innanzitutto, mi corre l’obbligo di chiarire il quadro storico. Al governo della città c’era allora una giunta di democristiani e socialisti, con sindaco il Prof. Antonio Valente. Il partito comunista era all’opposizione. Nel dicembre del 1966 il direttore dell’Eni, in una conferenza stampa, annunciava l’intenzione di dar vita a uno stabilimento per la produzione di ammoniaca e urea, precisando ch’esso avrebbe dato 500 posti di lavoro; da parte sua, gran parte della stampa di allora, la Gazzetta del Mezzogiorno in testa, per spingere l’opinione pubblica ad un parere favorevole, ci aggiunse uno zero.

Quando si apprende che l’insediamento dell’impianto sarebbe avvenuto nella piana di Macchia, la popolazione insorge, di conseguenza prendono una netta posizione contraria all’intento dell’Eni tutti i rappresentanti politici della città. Ma il sindaco di allora, spronato dall’on. democristiano Vincenzo Russo, funzionario dell’Eni, rilascia una pubblica dichiarazione per dirsi favorevole al progetto dell’Eni e trasmette un telegramma al Presidente del Consiglio dei Ministri, per esprimere “l’ansia della cittadinanza per il lavoro” e chiedere “una sollecita conferma che il progetto sia presto realizzato”. Non solo. Mentre il Comune di Monte Sant’Angelo all’unanimità esprime parere favorevole a quella ubicazione, egli si rifiuta di convocare il Consiglio Comunale di Manfredonia. Sicché il Comitato dei Ministri per il Mezzogiorno, in assenza del parere del Comune più interessato, vista la sua vicinanza alla Piana di Macchia, il 15 maggio 1968, fa propria la scelta dell’Eni, circa l’ubicazione dell’impianto.

Poi, sotto la spinta dell’opinione pubblica, che teme “la sovrapposizione della scelta industriale a quella turistica e la distruzione di un capitale agricolo notevole”, il consiglio comunale viene finalmente convocato ed il 6 giugno 1968, a conclusione di una seduta burrascosa, con voto unanime si approva una mozione molto chiarificatrice e ferma, con cui si “chiede che lo stabilimento dell’Anic venga ubicato a debita distanza dal centro abitato, in una zona diversa da quella prescelta, considerato che tra Ovest e Sud-ovest della città esistono vastissimi territori idonei all’ubicazione dello stabilimento e del porto”. Purtroppo, il Sindaco e altri amministratori, vicini all’on. Russo, cambieranno ancora una volta posizione, tanto che, anche sotto la spinta di diverse lotte popolari, gli alleati socialisti toglieranno al sindaco la fiducia, determinando lo scioglimento del Consiglio.

La famosa frase.

Si era in campagna elettorale per le politiche e, sotto l’incalzare delle accuse rivolte al Partito Comunista, di temere la fabbrica perché “quando gli operai lavorano i comunisti perdono consenso”, mio padre disse in un comizio tenuto in Piazza Duomo (oggi Giovanni XXIII): “Noi abbiamo sempre reclamato che per la fabbrica devono essere trovate soluzioni che meglio corrispondono agli interessi della collettività. Ma il sito più idoneo non ce lo deve dire l’ENI, interessato innanzitutto a realizzare il massimo reddito aziendale. Esso deve invece scaturire da studi disinteressati, compiuti autonomamente, i quali devono dimostrare l’impossibilità tecnica ed economica di una diversa soluzione”. E poi, andando su di tono: “Se i tecnici di nostra fiducia diranno che la fabbrica può venire addirittura in questa piazza, la faremo fare in questa piazza! Ma non ce lo debbono certo dire i tecnici pagati dall’Eni”. Era, con ogni evidenza, un’affermazione per assurdo.

Ma, dopo lo scoppio della colonna di lavaggio dell’impianto Anic (1976), quando mio padre si dimise da Sindaco, per protestare contro la Federazione provinciale del suo partito che non voleva la chiusura e la delocalizzazione della fabbrica, un corrispondente locale, favorevole alla sua riapertura, costruì una vera e propria macchina del fango, riportando sulla stampa il testo di quel comizio, estrapolato da tutto il contesto e dalla posizione portata sempre avanti da mio padre e dal Partito Comunista di Manfredonia, che era con ogni evidenza contraria all’insediamento della fabbrica nella piana di Macchia e per una diversa allocazione.

Sono convinto che consentirà la richiesta opera di chiarimento, sia pubblicando questa smentita, sia utilizzando il diritto di cronaca, a tutela della verità facilmente comprovabile se solo si ha la pazienza di leggere gli scritti, i verbali e le pubblicazioni già agli atti della biblioteca comunale e del Comune di Manfredonia.

Distinti saluti.

Prof. Italo Magno
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